Il medico: "Senza tamponi difficile anche curare"
Tutto quello che non funziona: dai dispositivi che mancano alla rete territoriale smantellata
Uno tsunami ha investito i medici di Medicina generale. Molti hanno pagato con la vita l'essere stati lasciati soli e senza protezioni adeguate, in prima linea, soprattutto nelle prime fasi dell'emergenza. Sono oltre 100 i medici morti per Covid e la metà erano medici di base. Tanti gli errori. E' tempo di bilancio, ma anche di appelli per il futuro. Ne abbiamo parlato con Matteo De Rosa, medico di base di Monza, classe 1984, uno dei firmatari della lettera dei 100mila medici italiani al Ministro Speranza.
Senza protezioni
«Seguire l’esempio dei paesi virtuosi, dare ai medici i presidi di protezione così che possano visitare i pazienti in sicurezza e tornare a investire sulla medicina territoriale che è stata smantellata in questi anni a favore degli ospedali».
Non ha dubbi De Rosa, 35 anni, medico di medicina generale in viale Romagna, su quello che si deve fare per migliorare la gestione dell’emergenza a livello locale. «Quello che ha fatto la Germania e che in Regione Lombardia non è stato fatto è l’essenziale: fornire le protezioni individuale ai medici sul territorio, con quelle avremmo potuto fare le visite, chi le ha fatte invece si è ammalato ed è morto».
Niente tamponi
Oltre alla clinica c’è poi la necessità della diagnostica, ossia i tamponi. «Abbiamo capito che ci sono terapie che da una letteratura di tipo osservazionale si è visto possano funzionare contro il Covid, come l’eparina. Ma sono farmaci off label, funzionano se dati al principio - spiega De Rosa - Ma puoi darli se hai certezza della diagnosi. E invece abbiamo le mani legate: la diagnosi certa non c’è perché è difficile ottenere il tampone e quindi come fare?».
Insomma, se nei primi 15 giorni Covid e influenza sembrano uguali per quanto riguarda i sintomi, solo un tampone positivo può far propendere per una terapia piuttosto che per un’altra, dando ad esempio il farmaco per l‘artrite reumatoide fin da subito. «E invece il paradosso è che i tamponi sono stati fatti soprattutto ai pazienti gravi che era più probabile avessero il Covid se erano già intubati».
La Fase 2
Secondo il medico, in Veneto si sono gestiti molto meglio, hanno tamponato molte più persone, mentre in Lombardia adesso quando dobbiamo riaprire lo faremo alla cieca senza sapere quale sia stato il contagio reale
Un esempio? «Sui miei 1658 pazienti, ho avuto 25 casi, ma tamponati solo 5 perché si sono aggravati e sono andati in ospedale e solo un morto in una casa di riposo - spiega - La Lombardia ha una mortalità elevata anche in rapporto alle altre regioni e agli altri Stati europei». Quale il motivo? «Di sicuro per anni si sono destinate risorse sugli ospedali, anche privati, smantellando la rete territoriale». E il risultato è stato che la stessa Ats è stata invasa dai casi e si è dimostrata incapace di fronteggiarli. «Mi è capitato di fare segnalazioni in Ats e quando rispondevano il paziente era in ospedale o stava meglio - ha spiegato - Non è colpa loro, scommetto siano sotto organico e anche loro sono stati investiti da questa valanga. Basti pensare che io ho 120 persone in lista di attesa che vorrebbero inserirsi e devo dire di no perché sono pieno. Siamo pochi medici, ne servono di più e bisogna investire sulla formazione».
Il sistema sanitario
Ma il vero problema è il sistema sanitario. «Un sistema che punta a curare e non a prevenire perché la convenienza per il privato convenzionato è fare un intervento di angioplastica non evitare che il paziente abbia l’infarto». La rete territoriale, questa è mancata.
«Se potenzi la rete territoriale, le patologie vengono intercettate prima, ma viene meno il vantaggio per il sistema ospedalizzato. Anche per questo i Pronto soccorso sono ingolfati, perché manca una rete efficiente di medicina territoriale, perché non si è investito in tal senso. Anzi si è tagliato, destinando risorse sugli ospedali e non sul territorio». Insomma, è questo che la Germania aveva e che ha funzionato era proprio la rete sul territorio: medici di base con le protezioni che potevano visitare e gestire i pazienti prima che si aggravassero. Eppure i medici di medicina generale oggi con oltre 1500 pazienti da seguire e se vogliono svolgere al meglio il loro lavoro finiscono per lavorare 7 giorni su 7. «Io sono sempre reperibile, ricevo mail, chiamate, mando ricette, visito i pazienti - spiega - Però per fare un esempio di quanto eravamo indietro dico: per anni abbiamo dovuto stampare la ricetta, ora in due settimane l’hanno fatta davvero dematerializzata, allora si poteva fare prima».