Il quadro

Da Infinito alle nuove mafie: le indagini che hanno travolto Desio e Seregno

Alessandra Dolci, che coordina la Dda di Milano, ha tracciato l’inquietante quadro che emerge oggi

Da Infinito alle nuove mafie: le indagini che hanno travolto Desio e Seregno
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Sono passati tredici anni da quando l’inchiesta «Crimine Infinito» scoperchiò il sistema lombardo della ‘Ndrangheta e travolse Desio, Seregno e molti Comuni della zona con condanne e stravolgimenti politici. Uno dei Pubblici ministeri che portò avanti l’accusa era Alessandra Dolci, che fu in prima linea nel filone desiano delle indagini e dal 2018 è responsabile della Direzione distrettuale antimafia di Milano.

Da Infinito alle nuove mafie: le indagini che hanno travolto Desio e Seregno

Nella serata di lunedì della scorsa settimana è stata all’auditorium del Banco Desio, invitata dal Circolo culturale Pro Desio e da Brianza Sicura, per raccontare il volto nuovo delle mafie lombardo-calabresi:

«Ero qui durante le indagini con anche cento carabinieri, molti dei quali in sala. Grazie a loro emergevano legami e commistioni fra politici e soggetti in odore di ‘Ndrangheta, ma adesso sembra passata un’era. Solo a Como, per esempio, si contavano 462 reati spia, incendi, proiettili e simili, oggi molti meno».

«Quindi abbiamo vinto?», volontariamente retorica e provocatoria è stata la domanda del presidente di Brianza Sicura Roberto Beretta.

«Il volto delle mafie è cambiato – ha affermato con forza Dolci – Oggi gli ‘ndranghetisti sono imprenditori di piccole aziende nei più vari settori e si insinuano in tutti i settori che portano due cose: ritorno economico e consenso sociale, a partire dallo sport». Il mafioso di oggi non è più il rapitore o l’estorsore, oggi è «il risolutore di problemi che si fa rispettare» nella definizione della Pm, e che, purtroppo, sa far leva sulle caratteristiche culturali di questa zona.

«I rapporti fra mafia e imprenditori sono molto cambiati – ha ripreso Alessandra Dolci – Oggi puntano ai pezzi grossi delle aziende, ma gli stessi dirigenti hanno capito che conviene fiscalizzare l’estorsione con una fattura fittizia, mentre gli ‘ndranghetisti offrono loro servizi esternalizzabili a bassissimo costo, specie nella logistica, che portano vantaggi a entrambi. Ma non hanno abbandonato la ristorazione: i bar servono a marcare il territorio, i locali della movida come reinvestimento di capitali e come sistema per fare rete e conoscere persone importanti fino al politico».

La situazione in Brianza

Ed è forse così che la ‘Ndrangheta è diventata l’organizzazione mafiosa più potente del mondo e, in Lombardia, la provincia di Monza è la seconda per presenza ‘ndranghetista (pur con poche denunce di estorsione), ma Milano e la Brianza sono soprattutto il grande crocevia dei traffici di stupefacenti e allora non può che essere fondamentale la cooperazione internazionale.

«In Europa è cambiata la sensibilità – ha risposto Dolci a una domanda del pubblico – Prima c’era molta diffidenza, oggi lavoriamo insieme con la Svizzera, l’Olanda, il Belgio, la Francia è riuscita a sequestrare i server delle loro comunicazioni e abbiamo scoperto che i quantitativi di stupefacenti che passano in Lombardia sono enormi», anche se non tutti hanno armi giuridiche all’avanguardia come quelle italiane: «Manca ancora il reato di 416 bis (associazione mafiosa, ndr) e la cooperazione con i Paesi produttori di droga del Sud America è da sempre altalenante».

In una serata in cui sono stati molti i cittadini che hanno gremito l’auditorium e animato di tante domande un dibattito, con diversi politici, a partire dal sindaco, Simone Gargiulo e tanti uomini e donne delle Forze dell’ordine, non può mancare una speranza per il futuro:

«Possiamo fare tanti discorsi vaghi, ma io credo molto nella responsabilità individuale. Sappiamo tutti chi sono i mafiosi, quali sono i loro locali, possiamo evitarli e vorrei che manager e professionisti dicano: “No, grazie”. Io ho personalmente ringraziato un anonimo banchiere che ha segnalato un’operazione sospetta, ma quante volte giriamo la testa? Dobbiamo avere il coraggio di assumerci una responsabilità e come diceva don Pino Puglisi: “Se qualcuno di noi fa qualcosa, insieme possiamo fare molto”».

L’identikit della «’Ndrangheta 2.0»

«Una volta ho letto una comunicazione in cui i mafiosi dicevano: “Siamo la ‘Ndrangheta 2.0”.

Hanno imparato la lezione: in Infinito abbiamo fotografato 24 summit mafiosi, oggi non parlano più nemmeno in macchina, al massimo per strada. Il mafioso di oggi è un operatore economico e un facilitatore: studiano le loro vittime e non pressano il territorio per non farsi odiare», Alessandra Dolci descrive così il grande cambiamento che ha subito la mafia lombardo-calabrese dopo la grande inchiesta del 2011, un’organizzazione che non punta più ai reati tipici, come i roghi, ma ai reati economici, ai servizi alle imprese a bassa tecnologia, con società aperte e destinate a fallire nel giro di pochi mesi e un occhio ai grandi appalti.

«Oggi il rischio è che incamerino i fondi sanitari, del Pnrr, del superbonus e delle Olimpiadi – ha spiegato il presidente di Brianza Sicura, Roberto Beretta – La mafia è famosa per saper sfruttare le emergenze, quando i controlli sono meno rigidi».

Sono reati che si compiono anche grazie a professionisti, a notai, dirigenti e avvocati, un sistema che negli ultimi anni è molto sfuggevole e sfaccettato:

«Sta diventando complesso anche per noi – riprende Dolci – Sfruttano cooperative che offrono servizi a basso costo e quando falliscono il danno è per l’erario, per i fornitori e per i lavoratori. Ci è capitato di scoprire che la ‘Ndrangheta aveva pure “arruolato” un dirigente molto abile per inserirli nei più diversi ambienti, però li troviamo sempre nei cantieri, anche a Cortina, e il tema centrale è sempre l’effettività dei controlli, per i quali serve personale».

La Procura e la Dda hanno comunque dalla loro delle forti armi che servono a colpire, ma soprattutto a prevenire questi reati:

«Spingo molto sull’affiancamento di un amministratore giudiziario o anche sullo spossessamento dell’azienda: presentare le punizioni è il mio modo di dire “non vi conviene”, poi possiamo fare tanti discorsi, ma gli imprenditori sono persone molto pratiche che guardano al profitto, anche se iniziano a capire le nostre misure preventive. Però alla fine la cosa più importante è educare all’onestà e voglio essere ottimista, ma qualche dubbio ce l’ho: vedo poca coesione e solidarietà sociale», conclude Alessandra Dolci.

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