Lentate Sul Seveso

«I miei click, da Bolt alla guerra»

Quella di Parigi sarà l’ultima Olimpiade per il grande fotografo Giancarlo Colombo, che terminerà la sua lunga carriera

«I miei click, da Bolt alla guerra»
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Dopo undici edizioni delle Olimpiadi estive, sei delle invernali e innumerevoli eventi sportivi immortalati nel corso della sua carriera, appenderà la macchina al chiodo il fotografo lentatese Giancarlo Colombo, che chiuderà la sua carriera dopo le Olimpiadi di Parigi.

«I miei click, da Bolt alla guerra»

Come è nata la passione per questa professione?
La mia è una storia un po’ strana: ho sempre fatto il giramondo e stavo 200, anche 250 giorni l’anno lontano da casa per i più vari eventi sportivi. Sono entrato nell’agenzia Omega di Vito Liverani nel 1985, praticamente alla sua fondazione, e sono stato con lui per 28 anni, fino a quando non ho aperto la mia. Adesso chiudo con Parigi prima della pensione.
Come ha iniziato a scattare?
All’inizio preparavo i colori in una carrozzeria, ma non mi piaceva. Mio papà mi spingeva a lavorare e mi sono dovuto un po’ scontrare con i miei finché non hanno deciso di aiutarmi. Tutto è nato quando la mia futura moglie mi ha regalato la mia prima vera macchina. Studiavo fotografia a Milano la sera, ho iniziato come garzone in alcune agenzie e poi ho avuto la fortuna di essere assunto da Liverani. Era una persona piuttosto burbera che diceva sempre sì o no senza scuse e che ripeteva spesso che la fotografia devi averla nel cuore.
Quali sono stati i suoi inizi?
Sono andato alle Olimpiadi di Seul nel 1988 ma come assistente, poi ho iniziato con i Mondiali di Italia ’90 e finito nel 2006, quando ho deciso di concentrarmi solo sull’atletica leggera. Sono tutt’oggi fotografo ufficiale di World Athletics, European Athletics e della Fidal. Da lì ho conosciuto tante persone e Usain Bolt mi ha chiesto di diventare il suo fotografo.

Un evento sportivo che porta nel cuore?
Tutti gli eventi che ho seguito facevano parte del mio lavoro: forse all’inizio era una gioia, ma non puoi permetterti di esultare quando devi scattare. Il lavoro più emozionante è stato scattare la foto di Stefano Baldini quando ha vinto la maratona del 2004: lo seguivo da sempre ed è stato bello fotografarlo mentre vinceva le Olimpiadi.
Un servizio invece che a ripensarci si chiede ancora come è riuscito a fare?
Quando sei giovane fai le cose senza pensarci: immersioni, discese e tutto in analogico. Ho fatto anche la guerra. Ero a Sarajevo e pagando una persona sono riuscito a farmi portare a Srebenica. Prima su una 124 tutta sgangherata, poi a piedi nella neve con la guida che non parlava una parola in italiano, inglese o francese. Ho scattato un rullino intero, poi abbiamo sentito un rumore e siamo scappati in fretta e furia. Mi è caduto l’occhio su un cartello: «Zona minata». Sono quasi fuggito in Italia e poco dopo hanno bombardato l’hotel dove stavo, come a dire che sapevano qualcosa. Dopo quella esperienza ho deciso di dedicarmi solo allo sport.
Quale Olimpiade ricorda con più piacere?
Ogni edizione è stata diversa: ricordo che a Barcellona ’92 dovevo correre con i rullini per spedirli, mentre a Tokyo 2021 mandavo una media di 200, 300 foto al giorno direttamente dallo scatto. Quando Jacobs ha vinto i 100 metri nei primi 50 metri ho mandato 200 foto e non riuscivano a scaricarle.
La fotografia è cambiata moltissimo negli ultimi 30 anni.
Una volta aspettavi con gioia il momento dello sviluppo, te la gustavi, oggi mi vergogno un po’ a dirlo ma chiunque può fare fotografia. Il fotografo non ha più il vincolo della pellicola, ma deve comunque curare lo scatto senza scattare come una scimmia. E’ una cosa che faccio fatica a trasmettere.
Progetti per il futuro?
Mi occuperò con gioia di quest’ultima Olimpiade: vorrei scattare foto diverse, più da mostra, e magari aggiornerò la mia esposizione su tutte le Olimpiadi da Atene a Tokyo con Parigi. E’ forse il mio lavoro più bello e mi piacerebbe portarlo anche a Lentate. Poi dedicherò un po’ di tempo a mia moglie, santa donna che mi sopporta da quando la chiamavo due volte a settimana dall’America con i gettoni. Infine entrerò nel Cai, vorrei aiutare i ragazzi ad amare la montagna: magari portandoli a fare arrampicate o anche al mare, visto che ho anche il brevetto da istruttore subacqueo.

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