L’ex liceale diventa magistrato a 31 anni: il Don Gnocchi plaude alla prima togata
Anna Fornasieri, classe 1993, aveva conseguito la maturità classica in via Dei Gaggioli nel 2012
Lunedì l’altro è stata nominata Magistrato ordinario della Repubblica Italiana in Diritto Penale, dopo aver vinto il concorso di Magistratura indetto nel 2022 ed è la prima studentessa del liceo «don Gnocchi» di Carate a ottenere questo titolo.
L’ex liceale diventa magistrato a 31 anni: il Don Gnocchi plaude alla prima togata
Un traguardo importante per Anna Fornasieri, classe 1993, nata e e cresciuta a Seregno, allieva dell’Istituto Scolastico di via Dei Gaggioli, dove ha conseguito la maturità classica, nell’anno scolastico 2011-2012. L’abbiamo incontrata a pranzo proprio nel Ristorante didattico della sua vecchia scuola, dove torna sempre volentieri. Ne è uscito un dialogo ricchissimo di racconti, ricordi, analisi e considerazioni acute sul contenuto del suo percorso formativo e sul valore degli studi classici.
Come è nata l’intuizione di intraprendere il percorso di giurisprudenza e poi di magistratura?
A dire il vero, io tutto avrei pensato, tranne di fare giurisprudenza, e tanto meno il magistrato… Ho sempre avuto una propensione, direi naturale e cresciuta in famiglia, per il ragionamento ampio. Mio fratello ad esempio, prima di me, si iscrisse a filosofia e devo ammettere che anch’io ero molto attratta da quella strada. Eppure, ho sempre sentito molto urgente il tema della Giustizia; parlo proprio delle dinamiche quotidiane, dei rapporti umani, perché ne percepivo la complessità: con le persone, infatti, non è mai bianco o nero, ognuno è diverso da tutti gli altri... Inoltre, sentivo l’esigenza di cercare degli strumenti con cui poter incidere concretamente nella realtà di cui faccio parte, avevo il desiderio di contribuire, in qualche modo, alla costruzione del bene comune.
Il percorso di Giurisprudenza, per me, ha voluto dire “piegarsi” al particolare. Devi passare da lì, dal particolare, per scoprire ciò da cui è composta la situazione che ti trovi davanti. Ricordo un’immagine, letta in un libro di formazione, che paragona la virtù della Prudenza, scolpita sull’Arca di Sant’Agostino nella chiesa di San Pietro a Pavia, con la natura del diritto. In quella raffigurazione, la Prudenza è una persona con tre facce e richiama l’essenza del diritto, in quanto arte di comprendere come stiano insieme tutti i fattori di una vicenda. Mi sono accorta, con grande gioia, che tutto ciò esaltava la mia impostazione di partenza, non mi chiedeva di toglierla, ma anzi, mi imponeva di farla passare al vaglio del particolare, perché se non ci si piega a scavare nel dettaglio, non si possono avere in mente tutti fattori, nemmeno delle faccende più formali.
Che ruolo hanno avuto gli studi liceali nello sviluppo della tua carriera?
È proprio al liceo classico che ho iniziato a capire l’importanza fondamentale del particolare. Nel pieno del mio percorso universitario, mi ricordo che scrissi alla mia professoressa di Latino e Greco del “don Gnocchi”, Fosca Dal Bo, per dirle che stavo studiando gli articoli giuridici come a scuola lei ci faceva studiare gli epigrammi greci. Mi ero resa conto che era sui testi greci, sulla metrica, che aveva cominciato a formarsi in me uno sguardo analitico e critico, e che quello sguardo adesso agiva, quasi naturalmente, nella lettura di qualsiasi testo... Al liceo classico avevo davvero imparato a partire dal testo e ad interrogarmi sui termini utilizzati, perciò quando in un articolo trovavo, ad esempio, la parola “prestazione” e in un altro il termine “bene”, non potevo far altro che chiedermi quale fosse la differenza, quale la relazione. Nello studio di ragionamento e memoria dell’università, emergevano le lezioni della professoressa Dal Bo, che con la sua impronta filologica, che al tempo non capivo, anzi, con la quale arrivavo persino a scontrarmi, dava energia e metodo al mio impegno. Mi sono accorta di quanto, al liceo, avessi guadagnato un metodo di studio forte: ci sono persone geniali, che hanno l’estro, l’intuizione, io voglio ritrovare l’intuizione nel metodo. Per me tutto sta nel metodo, nella logica argomentativa che consente di avere la sintesi di tutte le ragioni che conducono e giustificano il passaggio da A a B. Questo insegnamento è iniziato a scuola, è stata una necessità per imparare a studiare. Io ritengo che, nel mio percorso, il 90 per cento l’abbia fatto la formazione: mi sono diplomata con 82/100, non avevo delle qualità fuori dalla norma, anzi, facevo fatica a confrontarmi con le verifiche di metrica. Io, di mio, sarei rimasta esclusivamente sull’universale, sul contenuto fondativo, avrei voluto parlare dell’idea delle Argonautiche, di come cambia la tradizione greca… e invece c’era anche la metrica. Se penso a quanto sia importante il particolare nel lavoro che svolgo adesso…
E alla tua passione per il «ragionamento ampio», come dici, hai dovuto rinunciare? O come rientra nel tuo lavoro?
Per niente! Proprio all’orale del concorso di Magistratura, mi hanno chiesto su cosa avessi svolto la tesi. Ero un po’ imbarazzata perché tutti avevano risposto “Diritto Penale” o “Civile”, io invece mi sono laureata in “Storia del Diritto”, che può sembrare un escamotage per laurearsi in fretta. Invece, il racconto della mia ricerca ha destato curiosità ed entusiasmo per l’originalità, penso proprio per lo stampo umanistico del tema. Per me la tesi è stata un po’ la chiusura del cerchio: sono partita dall’attualità, dall’esigenza di capire da dove fosse nato il positivismo giuridico da cui, mi sembrava, la giurisprudenza volesse prendere le distanze per dare più spazio al fatto. Per rispondere, ho dovuto indagarne le radici. Generalmente, si ritiene che l’origine sia la Rivoluzione Francese, ma io avevo piuttosto un’ipotesi che risaliva alla Riforma protestante... Così sono andata indietro fino a Lutero, poi da Lutero a Ockham e, infine, alla disputa interna all’Ordine Francescano, per arrivare a capire dove nascesse l’idea del diritto soggettivo come potere sulle cose. Non mi voglio dilungare oltre, ma è stato un viaggio entusiasmante, per il quale spesso andavo a chiedere pareri al professore di Filosofia medievale, tutt’altro dipartimento… Questa complessità, di cui ho già detto, continua a trovare forma e spazio nelle cose con cui mi capita di confrontarmi, e ogni volta è una scoperta, che richiede ancora studio, analisi dei particolari, giudizio critico.
C’è qualcosa, in particolare, che ti è particolarmente caro dell’aver frequentato il liceo classico al «Don Gnocchi»?
La libertà nel rapporto con gli adulti. Quella del “Don Gnocchi” è stata per me l’esperienza di una scuola libera, non perché facevamo quello che volevamo, ma perché le nostre domande avevano sempre grandissimo spazio... Per queste, ci si prolungava spesso oltre le lezioni, i rapporti che nascevano con i professori traevano sempre spunto da ciò che accadeva in classe. In Università si è visto subito: i miei compagni di corso, mi presero quasi per pazza perché, dopo una lezione con il professore di Diritto Penale, ero andata a domandargli ragione di molte cose che non mi tornavano di quanto aveva detto in aula. Con tutti i miei professori dell’Università, ho sempre avuto la posizione di chiedere, di andare a bussare alla porta, ma non con la convinzione di aver già capito, al contrario, con tutta l’esigenza di una che vuole provare a capire di più. Questo metodo l’ho imparato al “don Gnocchi”: sono sempre stata libera anche se non capivo e, se avevo delle ragioni per non essere d’accordo, mi ponevo in rapporto coi miei professori.