La testimonianza

«La normalità non esiste, è la diversità a farci crescere»

In occasione della Giornata mondiale sull'autismo pubblica bella testimonianza di Giulia, scrittrice di Briosco

«La normalità non esiste, è la diversità a farci crescere»
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Classe 2001, casa a Briosco, Giulia Calvani ha condiviso la sua storia con i nostri lettori. Nel 2023, alla fine di un travagliato percorso, le è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. «Non un’etichetta, ma una spiegazione»

«La normalità non esiste, è la diversità a farci crescere»

Capita a tutti, ogni tanto, di sentirsi «diversi». Di avere l’impressione di essere fuori luogo, quasi come un alieno su un pianeta sconosciuto. Solitamente, in questi casi, si fa il possibile per adattarsi e cercare di inserirsi nell’ambiente, così da essere riconosciuti e apprezzati e vivere esperienze positive. Si potrebbe dire che, in base al contesto, ognuno indossa la maschera più adatta. Non c’è nulla di male in tutto ciò, è un meccanismo psicologico che avviene naturalmente e in modo inconsapevole.

«La normalità non esiste, è la diversità a farci crescere»

"Noi persone autistiche parliamo di camuffamento o «masking». Consiste nello sforzarsi di assumere i comportamenti di una persona considerata «normale», nascondendo il più possibile i propri tratti autistici, con l’obiettivo di essere accettati e proteggersi da discriminazione ed emarginazione. Indossare una maschera del genere è estenuante e doloroso, e non si tratta di adattarsi a una situazione per qualche ora, ma di vivere un giorno dopo l’altro senza soffrire troppo. Diventa ancora più difficile quando, come nel mio caso, non si è consapevoli di essere autistici. Non capivo come o perché, ma sapevo di non essere come gli altri. E questa percezione, più o meno esplicitamente, mi veniva confermata dalle persone che avevo intorno, quasi a dirmi che era necessario che io modificassi qualche aspetto di me, altrimenti sarei stata strana e sbagliata, dunque inaccettabile.

Perciò, dalla mattina quando mi alzavo dal letto, fino alla sera quando tornavo a dormire, per circa 21 anni, ho cercato di indossare la mia maschera migliore. Prendevo spunto dagli atteggiamenti dei miei coetanei e dai personaggi della tv, e cercavo informazioni online digitando: «Come piacere agli altri». Ogni giorno era una sfida, e il mio travestimento di persona normale perdeva continuamente qualche pezzo. Succedeva ogni volta che dicevo una cosa fuori contesto, quando inciampavo nei miei piedi perché perdevo l’equilibrio o quando, pur riuscendo a inserirmi in un’uscita di gruppo, la vivevo come un’insopportabile fatica. Così, quando tornavo a casa e restavo un po’ da sola, mi rimproveravo con rabbia, lacrime e delusione perché non ero riuscita a essere uguale agli altri.

Il «masking» è spesso causa di disturbi d’ansia e depressione nelle persone autistiche, per colpa della stanchezza, della paura e della pressione, ma anche della solitudine e dell’incomprensione. Lo so bene io, che, dopo tutti quegli anni passati a maledire le mie stranezze e a cercare di cancellarle (senza riuscirci) avevo finito per chiedermi che senso avesse la vita se ogni giorno doveva essere un tormento. Non ero sicura ne valesse la pena.

Poi, un giorno, arrivò la svolta. Ero nello studio dell’ennesima psicologa e questa, per la prima volta nella mia vita, parlò di «spettro autistico». Fino a quel momento, i miei genitori mi avevano portata da tutti i generi di specialisti, eppure nessuno aveva mai saputo dare una spiegazione alle mie difficoltà e al malessere che provavo. Al solo sentir parlare di autismo mi sembrò improvvisamente di risalire dal buco nero nel quale ero sprofondata. Non avevo ricevuto un’etichetta, ma una spiegazione. Sotto la maschera che indossavo c’era una persona che, ora, avrei potuto imparare a conoscere e forse persino ad amare.

La sfida più grande che ho affrontato è stata il perdono. Avevo bisogno di ripartire da capo, di rileggere gli anni precedenti trasformando la rabbia e la delusione in consapevolezza e crescita. L’ho fatto scrivendo un’autobiografia, che ho intitolato «Volevo essere normale» (Armando Editore, novembre 2024). Il libro vuole essere un mezzo per vedere l’autismo dall’interno, attraverso il racconto nudo e crudo della mia esperienza. L’obiettivo più importante del racconto è però, soprattutto, quello di diventare uno strumento per coltivare la comprensione e l’inclusione dell’altro. Perché quello della normalità è un concetto che non esiste, ed è proprio dalle diversità che possiamo crescere".

di Giulia Calvani

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