In Palestina per aiutare chi vive sotto le bombe israeliane
Don Andrea Zolli ha raccontato l'esperienza al Giornale di Monza: "Ho visto una guerra tra due popoli fratelli"

Da Lissone fino in Palestina per dare aiuto e supporto a chi, quotidianamente, deve vivere con la paura della guerra che dura ininterrottamente dal 1948.
Don Andrea è tornato dalla Palestina
E’ volato direttamente in Palestina per dare supporto e vicinanza alle comunità cristiane in Cisgiordania.
Don Andrea Zolli, vicario delle parrocchie di Santa Maria Assunta e Sant’Antonio Maria Zaccaria nelle frazioni Santa Margherita e Bareggia, ha raccontato al Giornale di Monza il suo - ennesimo - viaggio in Terra Santa.
Una lunga intervista con la quale il sacerdote ha snocciolato i principali temi di un conflitto che - purtroppo - sembra non avere fine.
L'intervista al Giornale di Monza
Un'altra volta in Terra Santa. Don Andrea, cosa la porta in Palestina?
«E’ da due anni e mezzo che sostengo una colletta per le comunità cristiane di Terra Santa. Fino ad oggi abbiamo mandato 141.784,78 euro per progetti di diverso tipo che le comunità hanno segnalato. Ho quindi proposto al gruppo dei donatori di venire a incontrare le comunità che hanno sostenuto e hanno risposto sei pellegrini e siamo partiti».
Una terra martoriata dalla guerra. Come vivono i cristiani della Cisgiordania?
«Male. Sono vessati continuamente da posti di blocco improvvisi e con code interminabili che rendono difficile la comunicazione tra i vari paesi, mancanza di lavoro perchè l'economia è totalmente ferma e molta gente non riceve uno stipendio da un anno e mezzo, inoltre i raid dell'esercito israeliano in Cisgiordania vanno a colpire anche persone e famiglie incensurate che non hanno nulla a che fare con il terrorismo. La situazione è pesante, la paura della gente di poter essere colpita è alta e il sentore che prima o poi qualcosa possa capitare anche a sè e alla propria famiglia è plausibile. Bisogna anche dire che la comunità cristiana araba in Cisgiordania è lontana dal terrorismo e dalle sue logiche per cui tendenzialmente gode di una buona reputazione e in genere l'esercito non la considera una comunità pericolosa. Ma le case dei cristiani non sono ghettizzate e quindi vengono colpite anch'esse quando si spara nel mucchio».
Una lunga chiacchierata per parlare e conoscere anche come vivono le comunità cristiane che si trovano in Terra Santa.
Anche i cristiani sono in pericolo
Le comunità cristiane sono in pericolo?
«Le comunità cristiane della Cisgiordania sono in pericolo, certo, anche se come dicevo godono di una qualche considerazione di essere comunità pacifiche. Porto l'esempio di una famiglia cristiana di Jenin che una mattina si è vista sfondare tutto il muro di recinzione dai tank israeliani, due soldati sono saliti nel piano abitato della loro villetta, gli hanno intimato di stare seduti sul divano e di stare fermi mentre loro cercavano con insistenza qualcosa nella casa mettendola a soqquadro. Alla fine gli hanno dato solo 10 minuti per abbandonare la casa. Loro hanno replicato ai soldati che in 10 minuti non avrebbero potuto raccogliere nulla (tenete conto che i due coniugi sono in pensione e con una certa età) e i soldati gli hanno detto che se dopo 10 minuti sarebbero stati ancora lì avrebbero distrutto totalmente la casa. Quindi sono dovuti andare via ospitati da amici. Essendo cristiani hanno quindi subito parlato col parroco, il quale ha chiamato immediatamente il Patriarcato latino di Gerusalemme che, attraverso le sue conoscenze, ha fatto il possibile. Il giorno dopo quelli dell'esercito hanno chiamato la famiglia dicendo che "avevano sbagliato" e che potevano tornare nella loro casa. Questo è quello che succede abbastanza regolarmente ogni settimana e ogni giorno. E chi non ha conoscenze come fa? Non può più tornare a casa sua».
Cosa pensa della situazione in Medio Oriente e a Gaza?
«Personalmente penso che sia una guerra che sfrutti l'obiettivo, lecito, di sconfiggere il terrorismo di Hamas per infliggere un duro colpo a tutto il popolo palestinese che viene considerato dal sionismo revisionista del Likud al Governo come una presenza indesiderata e immeritevole di restare nella “Palestina storica”. Questo è in atto senza ombra di dubbio nella Striscia di Gaza e, in modo più subdolo, in Cisgiordania. Si tenga conto che entrando in Nablus il primo maggio, i soldati del check-point ci hanno accolto col mitra spianato dicendoci “Benvenuti in Israele”. Il che vuol dire che per questa ideologia sionista di Stato e militare, politicamente la Palestina non esiste e con essa anche i palestinesi non esistono. E pensare che dall'antichità fino al 1967 anche gli ebrei erano “palestinesi”».


E' invece difficile aiutare le famiglie musulmane
Come si fa ad aiutare le popolazioni, non solo cristiane, che si trovano in difficoltà?
«Aiutare direttamente le popolazioni palestinesi musulmane in Cisgiordania è praticamente impossibile. Lo Stato d'Israele ha bloccato ogni possibilità di fare bonifici a privati e a entità personali in Palestina. In realtà questa scelta è dettata dalla preoccupazione che questi soldi vadano a finanziare i gruppi armati della resistenza palestinese. Per colpire pochi, si puniscono tutti. Forse solo le organizzazioni umanitarie legate all'Onu possono fare qualcosa in termini di assistenza. Io riesco a fare arrivare le donazioni alle comunità palestinesi cristiane di Cisgiordania solo attraverso il Patriarcato latino di Gerusalemme che si fa garante che i soldi vadano direttamente ai parroci che li gestiscono, oppure tramite le associazioni cattoliche che hanno il conto corrente in Israele. Per Gaza come sapete già gli aiuti umanitari non entrano».
Gran parte del mondo occidentale ha preso timidamente le distanze dal governo di Netanyahu. Quale è la posizione della Chiesa? E la sua?
«La Chiesa Cattolica guidata da Papa Francesco ha espresso chiaramente, dall'inizio fino alla benedizione Urbi et Orbi prima della sua morte, che la guerra perpetrata nella Striscia di Gaza e l'operazione “Muro di Ferro” in Cisgiordania hanno passato il limite della sproporzione rispetto agli attacchi subiti il 7 ottobre. Troppi civili sono stati coinvolti e il numero di bambini uccisi e impressionante. Il Papa parlava di “ignobile situazione umanitaria”. Bisogna anche tenere conto che il Pontefice ha evidenziato preoccupazione anche per il clima di antisemitismo che sta aumentando. Era stato anche molto coraggioso chiedendo che le autorità internazionali preposte indagassero se fosse in corso un genocidio. La mia umile e insignificante opinione è che il Governo sionista-revisionista di Israele non può pretendere di annettere i territori palestinesi senza i palestinesi stessi. In realtà sono popoli fratelli: se prendi un ebreo dell'Yishuv e un palestinese non riuscirai a distinguerli somaticamente. Sono a vario titolo tutti discendenti di Abramo. Una soluzione politica che non preveda l'espulsione di un popolo musulmano palestinese, che di fatto ha abitato da 1.300 anni assieme ad ebrei e cristiani questa terra, va necessariamente trovata. Che sia la soluzione due popoli due Stati o un unico Stato binazionale: bisogna muoversi in una di queste direzioni. Per me la soluzione più promettente è la seconda, ma è la più difficile da accettare».


Presto tornerà in Cisgiordania
Quale augurio fai a questo fazzoletto di terra che non ha mai avuto pace?
«L'augurio che posso fare a questa terra e a questi popoli e di “Ripartire da Hebron”. E' il luogo in cui è sepolto Abramo con i suoi discendenti. In questo luogo si riunirono per seppellire lo stesso padre Abramo il figlio Isacco e il figlio Ismaele. Anche se fratellastri, insieme seppellirono il loro padre. Di fronte alla morte cambiano i parametri di giudizio. Di fronte alla morte si riscoprono le relazioni e l'accettazione dell'altro e il legame che accomuna. E' necessario che si riconosca che con questa guerra, più che un genocidio, si è realizzato un fratricidio».
Quando tornerai in Palestina?
«Spero quanto prima di poter riaccompagnare i pellegrini in Terra Santa. Ad oggi hanno ancora paura e il clima è ancora troppo instabile per dare serenità. In realtà i pellegrini non si sono mai fermati, anche durante la guerra, in modo particolare i filippini. La presenza del pellegrino in Terra Santa ha un suo senso, una sua missione che non è solo quella di visitare i luoghi santi, ma anche e soprattutto quella di incontrare le “pietre vive”, che sono le persone, veicolando messaggi di pace e la buona notizia del Vangelo, che solo “chi è mite erediterà la terra”. Una buona notizia condivisa sia dalla Torah, che dal Vangelo e dal Corano: “Beati i miti perchè erediteranno la terra”. Una terra non conquistata con la guerra ma ricevuta come dono da Dio».
L'intervista è disponibile anche sul Giornale di Monza in edicola.
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