L'intervista

Medico brianzolo tra i massacri di Gaza

Il dottor Andrea Bona, desiano, da aprile sta operando con Emergency nella Striscia

Medico brianzolo tra i massacri di Gaza
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Da aprile a Gaza, con Emergency, c’è anche un medico di Desio, il dottor Andrea Bona. Classe 1989, sta operando tra le bombe e gli orrori di una guerra che va avanti da quasi due anni. Lo abbiamo sentito per una testimonianza in diretta, parole forti le sue, accompagnate da un richiamo al mondo intero.

Medico brianzolo tra i massacri di Gaza

Medico specialista in medicina d’emergenza, il desiano vive a Firenze, città in cui ha conseguito la specializzazione.

«Sono partito per Gaza il 15 aprile scorso - racconta - E’ la prima missione con Emergency; fino a quel momento avevo fatto altre missioni ma con Ong diverse. Dopo la prima tappa ad Amman sono entrato nella Striscia il 17 aprile». Nell’area «Emergency gestisce due cliniche di salute primaria per adulti e bambini nella zona centro meridionale di Gaza. La prima si trova nei pressi di Al-Qarara, governatorato di khan Yunis, mentre la seconda si trova qualche chilometro più a sud, vicino alla cittadina di Al-Mawasi», spiega il medico.

Com’è organizzato il lavoro?

Le cliniche visitano e curano gratuitamente tra le 200 e le 250 persone al giorno, adulti e bambini, e offrono anche un servizio ginecologico prenatale, oltre a consulenze di salute riproduttiva. Il martedì è il giorno dedicato più specificatamente all’individuazione e al trattamento dei bambini malnutriti. Quello stesso giorno vengono anche effettuate le vaccinazioni infantili.

In che condizioni ha dovuto lavorare all'interno della Striscia? Quali sono le difficoltà che avete incontrato?

Le condizioni di lavoro all’interno della Striscia sono molto complesse per tantissimi motivi diversi: in primis per la mancanza di materiale sanitario con cui curare le persone. Questa mancanza è dovuta al blocco che Israele impone all’ingresso degli aiuti umanitari e che va avanti dal 2 marzo scorso. A questa enorme problematica si aggiunge il numero sempre crescente di pazienti, che è dovuto alle condizioni di vita tremende in cui sono costrette a vivere le persone che vengono sfollate dai bombardamenti israeliani. Centinaia di migliaia di persone vivono intorno alla clinica in condizioni igieniche precarie, senza corrente elettrica, senza acqua corrente, dentro a tende sovraffollate, in campi molto sovraffollati. La scarsità di cibo, il caldo sempre crescente e l’acqua contaminata fanno ammalare moltissime persone, soprattutto bambini, moltiplicando i casi di gastroenteriti e di disidratazione anche severa. La scabbia è un altro problema enorme, perché abbiamo esaurito tempo fa le scorte dei farmaci necessari. A tutto questo vanno aggiunti gli attacchi continui dell’esercito israeliano con missili, colpi di artiglieria e droni che spesso hanno colpito i campi profughi nel mezzo delle tende. Negli ultimi giorni il numero di feriti che medichiamo sta crescendo significativamente. Le esplosioni fanno da sottofondo costante alle nostre giornate nella clinica e alle notti passate a casa; alcune di queste si sono verificate a meno di un chilometro da noi e hanno fatto tremare le pareti della stanza in cui si visita. La popolazione è così stremata e assuefatta che non ci fa nemmeno caso.

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Come si vive a Gaza? E cosa manca?

Nella Striscia manca tutto: cibo, acqua, medicine, carburante e tutto quello che serve per provare a ricostruire una normalità persa in quella che prima era la tua città, casa tua e ora è soltanto un cumulo di macerie. Gli aiuti che attualmente vengono distribuiti sono del tutto insufficienti, oltre a essere risultati spesso mortali. Centinaia di palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano di recuperare un sacco di farina nelle zone che erano state segnalate come ufficiali. Ma più di tutto credo manchi la pace, la speranza di poter vivere la propria vita senza veder morire i propri cari in un bombardamento notturno o tentando di recuperare del cibo. Penso manchi dormire senza il ronzio dei droni, senza il rombo dei jet senza i boati dei bombardamenti. Scarseggia sempre di più la speranza che l’opinione pubblica internazionale riesca e fermare il massacro in atto, soprattutto da quando negli ultimi mesi la situazione è peggiorata sotto tutti i punti di vista.

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Un appello che sente di rivolgere al mondo...

Credo che il nostro compito sia di mantenere viva questa speranza, pretendendo che i nostri governi facciano di tutto per fermare questo massacro. La violenza di quei luoghi ci riguarda tutti; la guerra che abbiamo sempre pensato come una cosa lontana si sta diffondendo molto rapidamente. Pretendere che cessi a Gaza, dove è più feroce e più duratura, significa poterla fermare ovunque prima che ci raggiunga. Allo stesso modo credo che questo sia il momento di stringersi tutti intorno alle Ong che cercano di ricostruire la pace, in tutta la sua complessità, anche in luoghi come Gaza. Sosteniamo Emergency, sosteniamo la pace per sostenere noi stessi.

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