Tutto, nella casa in cui è cresciuto e vissuto fino all’ultimo, parla ancora di lui, delle sue passioni, della persona che sarebbe dovuto e voluto diventare. La maglietta del Milan con gli autografi dei giocatori, il libro del Signore degli Anelli – il suo prediletto – accanto al letto, la sua tazza preferita, il quaderno a quadretti, fitto di appunti, su cui ha studiato per quello che sarebbe stato il suo ultimo esame.
Il «Prodigio» di Ale
Da quasi un anno Alessandro Di Giovanni non c’è più, anche se la sua presenza resta fortissima. Un tumore rarissimo, che ha affrontato con un coraggio straordinario, lo ha portato via ai suoi cari – alla sua famiglia (la mamma Francesca, il papà Gianpaolo, i fratelli Lorenzo e Riccardo), così come ai suoi tantissimi amici – a soli 19 anni. Ma non ha spento la sua luce che continua a brillare enormemente, come una supernova, non a caso diventata simbolo della fondazione nata nel suo nome e chiamata, con un gioco di parole che riprende il soprannome legato al cognome, ProDigio, «perché lui un prodigio lo era davvero».
La sua luce non smette di brillare
Nato a Monza il 6 gennaio – giorno dell’Epifania, come la sua mamma ama ricordare – del 2005, residente a Sesto San Giovanni, Alessandro è stato per anni studente del Guastalla, dove, settimana prossima, il 20 settembre, si terrà un evento a favore del progetto della Fondazione, presieduta dai suoi genitori e fratelli.
Il progetto è volto a realizzare una struttura di accoglienza dedicata ai pazienti e alle loro famiglie che devono allontanarsi dalla propria residenza per curare malattie importanti. Un’iniziativa che nasce dall’esperienza diretta della famiglia, trasferitasi per un mese negli Stati Uniti per permettere ad Alessandro di sottoporsi a una cura sperimentale. «E lì siamo stati accolti in una struttura in cui abbiamo trovato una seconda casa pronta ad aiutarci in un momento di bisogno», ha ricostruito Francesca Di Giovanni che, insieme al marito e agli altri due figli Lorenzo e Riccardo, sta affrontando il dolore più grande che si possa vivere facendo del bene.
La forza di Alessandro
Alessandro ha amato la vita fino all’ultimo respiro. E per ogni singolo respiro ha sempre lottato, «uscendone sempre vittorioso, anche ora che sembra che la malattia ce lo abbia portato via», ha sottolineato la mamma. Una prima vittoria, ad appena cinque anni, quando si manifestò una prima malattia molto rara che nulla ha avuto a che fare col tumore che sarebbe poi insorto 12 anni più tardi. «Alessandro aveva la linfoistiocitosi emofagocitica famigliare, malattia non tumorale ma altrettanto grave e molto rara poiché colpisce i bambini in pancia non permettendone la nascita, oppure appena nati e che, invece, in lui si è manifestata tardi e per la cui guarigione fu necessario il trapianto di midollo – ha ricostruito Di Giovanni – Era il 2011 ed era in cura al San Gerardo. Il midollo glielo donò nostro figlio più piccolo, Riccardo, che all’epoca aveva solo 4 anni. Pensavamo che fosse troppo piccolo per capire cosa stesse accadendo, invece al risveglio dall’anestesia chiese: “Ale sta meglio? Il percorso post trapianto, che è sempre delicatissimo per via dell’alto rischio di rigetto, non fu certo semplice. Durò due anni, durante i quali Alessandro seguì le lezioni del Guastalla tramite schermo. Ricordo che acquistammo un banchetto all’Ikea da posizionare nella sua stanza». Il primo anno lo aiutò la mamma, che è maestra, poi le lezioni a distanza, via Skype con la maestra Lorena (inizialmente un po’ intimorita dalla novità, ma poi diventata la prima esperta maestra della scuola a distanza) e a casa con la direttrice Armida, fino al suo rientro a scuola. «Già da bambino era molto determinato – ha proseguito – E’ sempre stato un ragazzo di poche parole, sempre misurate, ma sapeva quello che era chiamato a fare e ci metteva tutto il suo impegno». Come quando rientrò al Guastalla dopo la malattia: «Voleva tornare a giocare a calcio coi suoi compagni e ce la mise tutta per recuperare il gap dovuto agli anni di stop». E alla fine entrò sia nella squadra del collegio di viale Lombardia che in quella dell’oratorio Sant’Andrea di Sesto San Giovanni, dove fu anche educatore e dove la sua scomparsa ha lasciato un segno profondo nei tantissimi amici che non lo avrebbero mai lasciato solo.
Una forza di volontà incredibile che gli ha permesso di proseguire sulla sua strada anche nei momenti più bui che si sarebbero ripresentati in seguito. E che lui ha saputo illuminare nonostante la sofferenza.
Ha sempre lottato
Alessandro si è ammalato nuovamente durante il suo ultimo anno di superiori. Una malattia diversa da quella che affrontò quando aveva 5 anni. Ma altrettanto rara e aggressiva.
Le prime avvisaglie a settembre del 2022: un dolore piuttosto intenso al polso sinistro che lo portarono a sospendere le prove pratiche di pianoforte. Poi, a inizio novembre dello stesso anno, una pallonata ricevuta durante una partita a calcio lo costrinsero ad andare in Pronto Soccorso.
«E lì fu evidente che non si trattava di una semplice frattura – ha sottolineato la mamma – Era patologica e dunque fu sottoposto a tutta una serie di esami». Accertamenti che avrebbero rivelato la presenza di un osteosarcoma al polso sinistro. Una diagnosi pesante come un macigno. Che però non gli ha tolto la voglia di fare, di studiare, di continuare con le sue attività di educatore in oratorio. Un esempio tra i tanti fu che, nonostante la chemio ad alto dosaggio – sei giorni di ricovero con farmaco somministrato in infusione continua – «Ale faceva in modo di completare il ciclo il mercoledì in modo da poter andare in oratorio – ha evidenziato la mamma – Tornava a casa, dormiva due ore, poi andava dai suoi ragazzi in oratorio. Ha continuato anche a studiare. Ha fatto la maturità, poi si è iscritto al Politecnico, alla facoltà di Ingegneria Energetica».
L’operazione e la successiva amputazione dell’arto
Nel frattempo la malattia si si stava aggravando: nella primavera del 2023 la prima operazione al polso, al Galeazzi di Milano, poi di nuovo cicli di chemio e radio e, purtroppo, dopo un anno, a causa di un’infezione all’innesto osseo è stato necessario procedere con una seconda operazione, questa volta alla Multimedica, per l’amputazione del braccio. «Nonostante fosse consapevole che sarebbe uscito dalla sala operatoria senza più il suo arto, non si è fatto prendere dalla disperazione – ha ricordato commossa Di Giovanni – Mi ha riferito un’infermiera il cui figlio era seguito da Ale in oratorio, che per coincidenza era di turno in ospedale proprio durante la sua operazione, che Ale è rimasto sempre sereno, anche nei momenti precedenti l’intervento, quelli peggiori, in cui sei da solo e che raccontava di quello che avrebbe voluto fare nei giorni successivi».
La cura sperimentale in America
Nel frattempo, le terapie proseguivano. «Ma quando abbiamo capito che le cure in Italia non stavano dando i risultati sperati, abbiamo cercato negli Stati Uniti e abbiamo trovato un centro specializzato nel North Carolina, rientrando nel trial – ha spiegato Di Giovanni – Prima di partire Ale ha voluto accompagnare in montagna i ragazzi dell’oratorio. Un’impresa non da poco visto che durante le camminate i polmoni iniziavano a fare emergere la fatica nella respirazione. Una volta rientrato, a fine luglio del 2024, siamo partiti per gli Stati Uniti». La famiglia ha trovato accoglienza in un centro al quale l’ospedale si appoggiava. A prezzi calmierati offriva non solo un luogo in cui la famiglia (e a turno gli amici) poteva dormire, ma anche una cucina, la navetta per il trasporto presso il centro di ricerca e, soprattutto, momenti di socialità con le diverse realtà e comunità del luogo che, a turno, trascorrevano le serate coi pazienti, cucinando e cenando insieme. «Abbiamo trovato tanti volontari che ci hanno aiutato in un percorso che è stato molto complesso e faticoso. E’ stata una realtà che ci ha colpiti particolarmente quanto ad accoglienza dei famigliari dei pazienti. E anche molti amici di Ale hanno avuto la possibilità di venirlo a trovare. Già mentre ci trovavamo lì, è cominciato a nascere in me il desiderio di portare questa realtà anche in Italia».
Il rientro in Italia
Terminata la cura negli Stati Uniti, la famiglia è rientrata in Italia con un volo sanitario, così come era stato «imposto» dalla struttura ospedaliera, per via delle condizioni in cui il giovane versava, ma il sostegno, in questo caso economico, di tanti non e’ mancato.
«Purtroppo la cura sperimentale non ha dato gli esiti che speravamo. Alessandro è rimasto con noi per altri tre mesi. Le sue condizioni non hanno fatto che peggiorare. Avrebbe potuto essere arrabbiato con la vita, avrebbe potuto dire “chi me lo fa fare?”. Invece non si è arreso, non ha perso la speranza, ha vissuto intensamente fino alla fine».
E attorno alla famiglia si è creata una comunità incredibile fatta di amici, di persone che hanno dimostrato tutta la loro vicinanza. Come monsignor Delpini che, in visita pastorale a Sesto, apprendendo del fatto che c’era un giovane che non era riuscito a uscire di casa per via della malattia, è andato lui a trovarlo. O come il Milan, la squadra del cuore di Alessandro, che gli hanno fatto avere la maglietta con gli autografi di tutti i giocatori. E poi loro, gli amici di sempre, che non lo hanno mai lasciato solo. «Pochi giorni prima che ci lasciasse ha sostenuto il parziale di Meccanica dei solidi – ha spiegato ancora la sua mamma – Era previsto per la mattina, ma Ale aveva passato una notte molto complicata e non riusciva nemmeno a scendere le scale. Così ha chiesto alla sua prof se avesse potuto farlo il pomeriggio. E lei si è collegata apposta per lui. Avremmo appreso poi, che aveva preso 30».
La fondazione
Pochi giorni dopo, il 24 novembre del 2024, a soli 19 anni, Alessandro è morto. Per giorni l’abitazione è stata letteralmente invasa dagli amici che lo hanno vegliato e che hanno sostenuto la mamma, il papà e i due fratelli. Alle esequie hanno partecipato migliaia di persone. Il Politecnico, ad aprile, gli ha conferito la laurea alla memoria in Ingegneria Energetica. E la sua famiglia ha fondato la fondazione Prodigio proprio per non disperdere l’incredibile luce di cui brillava Alessandro. Il logo? Una strada che interseca la croce con un braccio più corto dell’altro e che termina con una supernova, «che quando muore investe l’universo della sua luce e della sua energia», così come ha fatto Ale e sta facendo tuttora attraverso gli amici della fondazione.
Oggi l’incontro al Guastalla
Ci saranno i coniugi Francesca e Gianpaolo Di Giovanni oggi, sabato 20 settembre 2025, all’evento organizzato al Collegio della Guastalla di viale Lombardia. Con la loro testimonianza illustreranno il progetto che sta iniziando a prendere forma.
Insieme a loro, ci saranno tanti amici, gli stessi che hanno organizzato un primo incontro a giugno, nell’oratorio di Sesto San Giovanni in cui Alessandro era animatore e che aveva visto la partecipazione di quattrocento persone.
«E’ un’occasione di incontro dopo diversi anni – ha spiegato Pasquale Bruni, amico della famiglia e tra gli organizzatori dell’evento – E si tratta di un momento molto importante per sostenere il progetto ambizioso della Fondazione».
L’incontro inizia alle 17 con tornei di calcio e beach volley, poi alle 18.30 la messa e barbecue di fine estate.
A partire dalle 21 e 30 ci sarà la testimonianza dei genitori di Alessandro che illusteranno il progetto di Casa ProDigio, struttura che, nei piani, prevede una reception, 20 stanze con bagno privato (doppie/quadruple/disabili), salone comune, una grande cucina e sala da pranzo comune, lavanderia/stireria, ampio giardino attrezzato, cappella privata e sala conferenze/eventi, ma soprattutto ciò che nasce dal viaggio della vita di Alessandro che non e’ finito, ma continua a dare frutti bellissimi.