Un segnale che non può essere ignorato arriva dai numeri. Secondo i dati elaborati dall’Epidemiologia di Ats Brianza – e presentati in occasione della conferenza sulla salute mentale che si è tenuta nell’aula magna della Facoltà di Medicina di via Cadore, a Monza, dopo la pandemia si è registrato un incremento significativo dei comportamenti autolesivi tra i giovani.
Disagio giovanile
Una tendenza che, pur non accompagnandosi a un aumento dei suicidi, sta concentrando l’attenzione degli esperti e delle istituzioni sanitarie sul disagio che attraversa le fasce più giovani della popolazione. «Le evidenze che emergono dai dati su tutti i nostri residenti e su quanto avviene nelle strutture del territorio mostrano come, per le età più giovani, ci sia stato un incremento degli eventi autolesivi dopo il Covid – ha spiegato il dottor Luca Cavalieri d’Oro, direttore della Struttura complessa di Epidemiologia di Ats Brianza – Dal 2020 al 2024, unicamente nella classe 10-29 anni, si osserva questo aumento progressivo».
Maggiore incidenza di suicidi tra gli over 70
Diverso invece il quadro relativo ai casi di suicidio, che non mostrano variazioni significative nello stesso periodo. Come ha precisato la dottoressa Anita Andreano, responsabile della Struttura di Epidemiologia valutativa e ricerca epidemiologica di Ats Brianza, la maggiore incidenza di suicidi si riscontra «tra gli uomini over 70», mentre «gli atti autolesionistici interessano soprattutto le ragazze, in modo omogeneo tra le province di Monza e Lecco». I tecnici di Ats hanno sottolineato inoltre «una lieve maggiore frequenza dei casi tra i giovani con background migratorio».
Dai dati raccolti emerge che i tassi di suicidio risultano più elevati nelle aree meno densamente popolate, in particolare nell’area più a nord del Lecchese e nella zona di Bellano, mentre sul fronte dei comportamenti autolesivi si registra una leggera prevalenza nel distretto di Monza, sebbene stabile nel tempo.
L’aumento nelle aree meno popolate
L’aumento più marcato, invece, riguarda la parte nord del territorio Ats, con i Comuni compresi «tra Bellano, Lecco e le aree limitrofe», spiegano i ricercatori. Un andamento, quello della maggiore incidenza nelle zone periferiche o rurali, che non è esclusivo del territorio brianzolo.
«È un fenomeno osservato in diversi Paesi e in epoche differenti – precisano- Le cause sono molteplici e gli studi non hanno ancora individuato fattori di rischio univoci». Tra le persone che si tolgono la vita o compiono atti autolesionistici si riscontra inoltre una maggiore frequenza di patologie psichiatriche o croniche rispetto alla popolazione generale. Quasi la metà dei suicidi rilevati sul nostro territorio è stata commessa da persone con patologie croniche, spesso legate a neoplasie, neuropatie o broncopneumopatie. Ed è un dato che riguarda in particolare la popolazione più anziana.
Un’emergenza globale
Il suicidio resta un grave problema di salute pubblica a livello mondiale.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ogni anno nel mondo si contano circa 720mila decessi per suicidio, pari a circa l’1% di tutti i decessi. Negli ultimi trent’anni il tasso mondiale è in calo (da 13,4 ogni 100mila abitanti nel 1991 a 9,5 nel 2021), ma la tragica realtà è che il suicidio resta la terza causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 29 anni. In Italia, i tassi restano tra i più bassi d’Europa, con 6 casi ogni 100mila abitanti all’anno, ma gli esperti ricordano che i tentativi di suicidio sono 20-25 volte più numerosi rispetto ai casi portati a termine, segno di un disagio sommerso molto più esteso. Il rapporto maschi-femmine è di circa 2,3:1 nei suicidi, ma si inverte per i tentativi, che coinvolgono maggiormente le donne. Tra i principali fattori predisponenti si segnalano disturbi psichiatrici, precedenti tentativi, storia familiare di comportamenti suicidari, esperienze traumatiche precoci e disagio socioeconomico. Tra i fattori scatenanti, invece, separazioni, lutti, malattie croniche, difficoltà economiche e isolamento sociale. La pandemia da Covid-19, spiegano i ricercatori, ha inciso soprattutto sull’incremento dei comportamenti autolesivi e dell’ideazione suicidaria, ma non ha determinato un aumento significativo dei suicidi effettivi.
Prevenzione
L’analisi condotta da Ats Brianza mette in evidenza come la popolazione giovanile richieda oggi una particolare attenzione in chiave preventiva. Le informazioni provengono dal Registro Nominativo delle Cause di Morte di Ats e dai flussi del Sistema Informativo Sociosanitario (Siss), che raccoglie dati da molteplici fonti, tra cui pronto soccorso e schede di dimissione ospedaliera.
Occorre tenere presente alcune cautele nella lettura dei dati che possono risentire di diversità territoriale di codifica, ma il fenomeno del self-harm (autolesionismo) è ragionevolmente inquadrato e sicuramente sottostimato in quanto solo chi ha richiesto assistenza per le lesioni autoinferte può essere intercettato con questi metodi.
I segnali
Un fenomeno in preoccupante crescita, quello dei comportamenti autolesivi e dei tentativi di suicidio tra i più giovani, che oggi coinvolge fasce d’età sempre più basse. Non sempre i segnali sono evidenti, e proprio per questo — sottolineano gli esperti — è fondamentale prestare attenzione, aprire canali di dialogo e fare rete tra famiglie, scuola e servizi territoriali.
A parlarne è la dottoressa Paola Passoni, Direttore della Struttura Salute Mentale, Dipendenza e Disabilità Psichica di Ats Brianza (nella foto in apertura), che ha organizzato il convegno dedicato al tema che si è tenuto lunedì presso la Facoltà di Medicina dell’Università Bicocca.
“Disagio che emerge sempre prima”
«Si tratta di un’emergenza che riguarda gli adolescenti e i giovani adulti – ha spiegato il direttore Passoni – ma la cui età si sta purtroppo abbassando. Il nostro ufficio di Epidemiologia, nel rilevare i dati, ha dovuto considerare anche la fascia dei 10 anni. Fortunatamente, in queste età molto basse la curva è meno preoccupante, ma la tendenza è chiara: il disagio arriva sempre prima».
La conferenza è stata quindi dedicata proprio a questo tema, con l’obiettivo di condividere esperienze, strategie di prevenzione e strumenti di diagnosi e cura tra tutti gli operatori della salute mentale. Non sempre è facile riconoscere chi sta vivendo un momento di profondo disagio. «Ci sono adolescenti che danno segnali e altri che non li manifestano – ha aggiunto la dottoressa – I comportamenti autolesivi, come il cutting, sono spesso visibili, ma il rischio suicidario può restare nascosto fino all’ultimo».
Fare rete per aiutare
Tra i segnali più comuni ci sono l’isolamento sociale, la tendenza a ritirarsi dai social network, e i segni fisici autoinflitti. In questi casi, è fondamentale rafforzare la rete di relazioni che circonda il ragazzo: «La scuola, gli insegnanti, i compagni di classe e gli amici possono svolgere un ruolo cruciale. Creare uno spazio di ascolto e dialogo è già una prima forma di prevenzione».
Il direttore Passoni sottolinea anche l’importanza di insegnare ai ragazzi a non tenere per sé i segnali di sofferenza osservati in un amico: «Parlarne con un adulto, un insegnante o un genitore può letteralmente salvare una vita». Sul fronte dei tentativi di suicidio, gli esperti ricordano che anche pochi minuti di ascolto possono fare la differenza. «Studi condotti su persone il cui gesto è stato interrotto dimostrano che, a distanza di anni, la grande maggioranza non ha più tentato di togliersi la vita. Creare uno spazio in cui la persona possa esprimersi significa avviare un percorso di aiuto, e qui entra in gioco la competenza dei servizi specialistici». La prevenzione passa dunque attraverso una rete di sostegno ampia e integrata: la famiglia, primo punto di ascolto; la scuola, con insegnanti e sportelli di supporto psicologico e i servizi territoriali di diagnosi e cura, come le neuropsichiatrie infantili e i consultori. «Solo unendo queste forze – conclude Passoni – possiamo intercettare precocemente i segnali di disagio e offrire ai ragazzi un aiuto concreto, prima che sia troppo tardi».