Un viaggio nei giorni drammatici del sequestro, nei misteri di quelle settimane che cambiarono per sempre la storia della nostra Repubblica. Ma anche e soprattutto l’occasione per riflettere su ciò che Aldo Moro ha lasciato, sui suoi pensieri di pace e di pacificazione, culminati nell’abbraccio tra vittime e carnefici.
Il Memoriale di Aldo Moro a Vimercate
Una serata carica di emozioni quella che si è tenuta ieri, venerdì 14 novembre, nell’auditorium della biblioteca civica di Vimercate.
La lettura scenica
“Il pensiero contro le armi: l’attualità del Memoriale di Aldo Moro”: questo il titolo dell’appuntamento organizzato da Acli Vimercate e diviso in due momenti. Nella prima parte, la lettura scenica di un testo scritto da Fabrizio Annaro e portato sul palco dallo stesso autore e da Fabrizio De Giovanni.
Nella seconda, il confronto tra chi, Giovanni Ricci, in occasione dell’agguato del 16 marzo del 1978 da parte delle Brigate rosse, perse il padre, Domenico Ricci, carabiniere componente della scorta dello statista, e chi stava dall’altra parte, Ernesto Balducchi, ex leader della lotta armata e vicino alle Br.
In apertura, come detto, un suggestivo e a tratti inquietante viaggio nei giorni del sequestro, attraverso gli scritti che Moro lasciò dalla prigionia. Una fotografia della politica e delle istituzioni italiane, con parole dure anche e soprattutto nei confronti della “sua” Democrazia Cristiana. L’occasione per ripercorrere qui 55 giorni, dall’agguato che lasciò sul terreno i corpi di 5 agenti di scorta al giorno dell’uccisione di Moro. E di farlo con le parole di Moro, inserite nel contesto nazionale e internazionale con l’inquietante dubbio, e forse anche qualcosa di più, che dietro quell’omicidio non ci siano state soltanto le Brigate rosse.
La pacificazione tra vittime e carnefici
E poi il confronto, l’incontro tra chi all’epoca stava su fronti contrapposti e che oggi ha scelto proprio la strada della pace e della pacificazione, come lo stesso Moro aveva indicato e come poi è stato messo in pratica dalla moglie Agnese.
La testimonianza del figlio di uno degli uomini della scorta
“Quando mio padre fu ucciso io avevo 11 anni – ha raccontato Giovanni, figlio di Domenico Ricci – Lui, carabiniere contadino venuto dalle Marche, era l’anziano della scorta di Moro. A lungo ho covato rabbia, odio, desiderio che chi aveva ucciso mio padre fosse condannato al massimo della pena. Poi, soprattutto dopo la nascita di mio figlio, qualcosa è scattato. Ho capito che la giustizia penale, che giustamente doveva fare il suo corso, non mi aveva dato nulla, non mi aveva dato le risposte che cercavo. E ho capito che quelle risposte le avrei trovate facendo pace con il passato. Anche e soprattutto grazie ad Assunta Moro che nel 2007 mi parlò di un gruppo nascente di pacificazione, composto da ex brigatisti e parenti delle vittime della strage e del rapimento. E così ho incontrato coloro che consideravo i mostri. Tra loro anche Valerio Morucci, l’assassino di mio padre. E mi sono trovato davanti una persona che portava sulle spalle un fardello ancor più grande del mio. L’ho abbracciato. E da allora ho chiuso i conti con l’odio e la rabbia”.
Il protagonista della lotta armata
E tra coloro che erano dall’altra parte c’era anche Ernesto Balducchi, uno dei leader della lotta armata. Peraltro attivo anche nel Vimercatese. Vissuto a Vimercate e a Lesmo, è stato uno dei leader dell’ala armata dei lavoratori negli anni Settanta all’interno di Telettra,
“dove – ha rivelato – c’era chi scioperava per protestare contro il rapimento, ma in fondo era vicino alle idee delle Br e della lotta armata”.
La consegna delle armi
Banducchi è stato tra coloro che, nei giorni della trattativa, si schierò a favore della liberazione di Moro. Arrestato nel 1980, è stato in carcere per una decina d’anni. E proprio da dietro le sbarre aderì all’appello alla consegna delle armi, lanciato nel 1984 dall’allora cardinal Carlo Maria Martini.
“In quel momento capii che la pianta da cui può crescere una società più giusta non può avere una pallottola come seme”.
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