Gabriele Sala ha sempre corso, fin da quand’era nel grembo di mamma Silvia. E’ nato in anticipo, da bambino era un terremoto. E quando la malattia è diventata malvagia compagna di ogni sua giornata, rallentandogli le gambe, ha continuato a correre con la mente, costantemente proiettata in avanti.
Martedì scorso è arrivato al traguardo in fretta, troppo in fretta: è volato in Cielo a soli tredici anni, nell’abitazione di Lissone che i suoi genitori avevano scelto proprio in vista del suo arrivo. Il trasferimento tre settimane prima della sua nascita, con il suo nome scelto quasi con una premonizione: Gabriele, come l’arcangelo messaggero di Dio.
Un gigante, nel fisico e nel cuore
Frequentava la seconda elementare, era il 13 dicembre del 2019 – una data che papà Matteo ha incisa nella memoria – quando è iniziato il calvario. Una malattia rara. Talmente rara che gli specialisti dell’ospedale «Papa Giovanni XXIII» dov’era in cura non avevano mai visto casi analoghi prima. Gabriele ha così imparato in fretta che la vita è un battito di ciglia e non bisogna perdere tempo. Ha assaporato ogni istante, un po’ come quel piatto di fritto misto che quest’estate l’aveva mandato in estasi seduto al tavolo di un ristorantino di mare con mamma, papà e la sorellina Matilde. L’ultima vacanza insieme. Un atto di coraggio l’avevano definito i medici. Un atto d’amore vien da aggiungere. Quell’amore di cui casa Sala trabocca.
La cameretta era il regno di Gabriele. Accanto al letto, la scrivania con le postazioni per giocare ai videogiochi che erano la sua finestra sul mondo. Di fronte, la libreria con ben ordinate le sue preziose collezioni di manga e carte Pokemon. Queste ultime raccolte insieme a papà Matteo, il suo inseparabile compagno di giochi che anche oggi che Gabriele non c’è più continua a onorare l’appuntamento in edicola.
«Ne aveva insegnato segreti e regole persino a don Marco (Lodovici, il prevosto, ndr)», ha raccontato mamma Silvia. Lei – fisico minuto ma la forza di una leonessa – ha accudito il suo bambino con una dedizione impossibile da descrivere a parole.
Bambino che è poi un sostantivo che fa sorridere ricordando Gabriele: già un grande, nonostante i suoi tredici anni. Nel corpo e soprattutto d’animo.
«Ti ho conosciuto in prima elementare. Pensavo che fossi stato bocciato, perché eri un gigante rispetto a me, mi alzavi da terra senza fatica: eri il mio amico super forzuto. Poi ti sei ammalato ma per me eri ancora più forte, non con il corpo ma con il cuore», ha scritto Fabio, un suo ex compagno della scuola elementare.
Un esempio per i compagni
Tutta la sua classe, la 3^C della secondaria di primo grado «Faré», in questi giorni di lutto gli ha dedicato parole di sincero affetto. Lo stesso i professori: «Gabriele era una persona unica, speciale. Sapeva farsi amare da tutti e bastava guardarlo per avvertire la sua “grandezza”, conquistandosi velocemente stima ed empatia».
«Purtroppo, a causa della malattia, studiava a casa con il prezioso supporto dei suoi docenti, frequentando pochissimo le lezioni in classe ma non ha mai avuto problemi a inserirsi – hanno proseguito i genitori – I compagni lo hanno sempre accolto a braccia aperte». Lasciandosi ispirare dal suo esempio, dalla sua grinta, dalla sua gentilezza, dalla sua ironia, dal suo coraggio. Dalla sua voglia di imparare – inglese e matematica erano le sue materie forti – nonostante la sofferenza quotidiana. «Skill issue» (termine utilizzato nel gaming), diceva per esorcizzare le difficoltà. «Era il suo modo, diventato poi di tutta la nostra famiglia, per dire che non importava ciò che accadeva di brutto, che avremmo superato anche l’ennesimo ostacolo, che una soluzione c’era», hanno concluso Silvia e Matteo.
Venerdì l’altro, la chiesa prepositurale dei Santi Pietro e Paolo era gremita per l’ultimo saluto a Gabriele. Che nessuno dimenticherà mai. «Non sei veramente andato via – ha scritto la sua compagna Viola – vivi nei ricordi di tutti noi, nelle nostre risate ed in ogni momento che penseremo a te».