Ecco come il Giornale di Monza fece condannare Paolo Romani
A rischio la presidenza del Senato a causa della condanna per peculato.
Se oggi il forzista Paolo Romani, nonostante l'appoggio incondizionato di Berlusconi, rischia di veder svanire ogni possibilità di diventare presidente del Senato (e dunque la seconda carica dello Stato), è perché il Giornale di Monza ci ha messo lo zampino.
Paolo Romani non rispondeva mai
La condanna per peculato è infatti arrivata all'indomani di un'inchiesta condotta dall'attuale caporedattore Diana Cariani che, all'epoca dei fatti (era il 2012), era la redattrice responsabile della politica di Monza.
Che ci fosse qualcosa di strano, la giornalista lo aveva intuito da qualche tempo. Ogni volta che chiamava l'utenza in dotazione all'allora assessore all'Urbanistica, immancabilmente rispondeva una voce femminile. La donna – che allora non si sapeva essere la figlia 15enne di Romani – alla richiesta di parlare col diretto interessato, diceva sempre la stessa cosa, ovvero che a quel numero non lo avrebbero trovato.
Il servizio sulle bollette telefoniche
E l'occasione per andare a fondo della vicenda era arrivata in concomitanza di un servizio sulle bollette (a dir poco da capogiro) del Municipio (che aveva riguardato sia la Giunta guidata dall'ex sindaco leghista ora eletto in Regione Marco Mariani - che, per la cronaca, era stato uno dei più morigerati nell'uso del cellulare di servizio - sia i consiglieri che i dipendenti comunali). Numeri – o meglio cifre – alla mano era emerso come l'utenza di Romani avesse totalizzato chiamate per 5mila euro in un solo bimestre.
Al cellulare rispondeva sempre la figlia
Strano, visto che, stando a quanto diceva la donna che rispondeva, lui quel cellulare non lo avrebbe mai utilizzato. Ma la vera sorpresa era arrivata quando la cronista, determinata a far luce sulla vicenda, aveva chiamato per l'ennesima volta, chiedendo chi parlasse. “Sono Lucrezia Romani, la figlia dell'assessore”. Messo tutto nero su bianco nell'edizione uscita martedì 27 marzo del 2012, il servizio aveva fatto scalpore tanto che si era mossa subito anche la Procura di Monza.
L'iter giudiziario
Il resto è storia. Paolo Romani, che avendo risarcito il Comune ha evitato che questi si costituisse parte civile, è finito in Tribunale ed è stato condannato per peculato per l'uso improprio del telefonino.
E a ottobre 2017 è arrivata la condanna in via definitiva. Condanna in cui la Cassazione conferma il fatto che fu lo stesso Romani a dare la sim (che fu utilizzata anche negli Stati Uniti) del Comune alla figlia la quale, tra gennaio 2011 e febbraio 2012, ne fece - come si legge nella sentenza - “un utilizzo che non è avvenuto all’insaputa di Romani, ma con il suo pieno consenso”.
Ma il procedimento è ancora in corso visto che la Cassazione stessa ha chiesto alla corte d'Appello di riconsiderare la pena in considerazione della “speciali tenuità” del danno invocata dalla difesa di Romani.
La posizione del Movimento 5 Stelle
Al di là del fatto che Romani abbia risarcito il Comune e fatto ammenda (in una nota aveva ammesso di essere rattristato e amareggiato: "La mia mancata vigilanza ha comportato per mia figlia il peso di essere coinvolta"), al Movimento 5 Stelle la sua candidatura a Presidente del Senato proprio non va giù tanto che sarebbero pronti a votare piuttosto per l'ex capogruppo dem.