Ha il figlio è Down, nessuno la assume
La storia di Stefania che fa i salti mortali per prendersi cura del suo bambino e il sogno di una casa più grande
I figli da accudire, la casa da gestire, la cena da preparare e il lavoro in cui essere sempre al massimo dell’efficienza. Per le mamme non è facile gestire tutto e da sempre fanno i salti mortali per tenersi stretto l’impiego.
Ma se è difficile in generale, lo diventa ancora di più quando si ha un bambino con dei problemi. Lo sa bene Stefania, monzese di 47 anni, che si prende cura con amore e dedizione del suo bimbo di nove anni che ha la sindrome di Down e che ha avuto diversi problemi di salute legati proprio alla presenza di quel cromosoma in più. La donna, che per anni ha vissuto a San Fruttuoso, ha altri due figli (di cui una bimba di 11 anni), ma spesso ha dovuto fare affidamento sulla legge 104 per poter avere delle assenze giustificate dal lavoro per accompagnare il figlio alle varie terapie. Ma nel tempo questo l’ha penalizzata. Tanto che in un paio di occasioni quando c’è stato da fare taglio al personale nelle ditte nelle quali lavorava, la mannaia è sempre caduta su di lei.
«Sarà un caso che ero sempre io quella da liquidare?», si chiede oggi Stefania. Il problema c’è e non è difficile immaginare che un datore di lavoro possa preferire chi non si assenta spesso per operazioni del figlio o terapie.
La mancanza di sostegno
Si stringe forte le mani in grembo, si fa coraggio, poi “sputa” la proposta. «Chi ha una disabilità ha delle agevolazioni per trovare lavoro, ma purtroppo non è lo stesso per il genitore di un bambino disabile al 100% e questo non è giusto», spiega Stefania. «Io ho lavorato 14 anni come operaia in una ditta federchimica ma è ovvio che con la 104 mi sono assentata, basti pensare che mio figlio è stato operato al cuore quando aveva due anni». Poi quella avventura lavorativa è finita (c’è stato un taglio di personale e lei è stata la prima liquidata). Poi è stata impiegata per due anni come aiuto mensa con un’agenzia interinale, ma quando c’era da decidere se lasciarla a casa o assumerla, si è optato ancora per la prima ipotesi. «Mi sono sentita rispondere che non avevano più bisogno, poi sono state prese altre persone al mio posto», si sfoga la monzese.
Uno stipendio non basta
«Io ho bisogno di lavorare, con un solo stipendio si fa fatica. Ora mio figlio si deve ricoverare un mese perché ha un problema di obesità e io lo devo accompagnare, capisco non sia facile, ma non possiamo certo fare affidamento sui 98 euro del reddito di cittadinanza cui ho diritto. Io voglio lavorare e sogno uno sportello che aiuti le mamme nella mia situazione a trovare un impiego per sostenere la famiglia». Eppure di sacrifici Stefania non ne ha fatti pochi. «Ho anche spostato le visite di mio figlio quando c’era bisogno di me al lavoro, mi sono fatta il mazzo e non è giusto il trattamento che ho ricevuto».
Stipati in 50 metri quadrati
Ma i problemi di questa famiglia monzese si sono ingigantiti quando non sono più riusciti a pagare l’affitto della casa in cui vivevano a San Fruttuoso. «Mio marito lavorava come artigiano, ma non è stato pagato per una commessa e vantava un credito di quasi 20mila euro, soldi che non vedremo mai. Il Comune ci ha aiutato e gliene siamo grati. Ma la casa in cui stiamo ora non va bene per noi. Siamo stipati in 57 metri quadrati. Abbiamo un bagno piccolo, nel quale mio figlio che soffre anche di obesità, fatica anche a lavarsi».
La scomodità
Un’abitazione che costringe Stefania anche a scomodi tour de force ogni mattina, essendo distante dal quartiere in cui vivevano. «Devo svegliare tutti alle sei meno un quarto perché mia figlia deve raggiungere la scuola che frequenta a San Fruttuoso e il centro che la aiuta nei compiti perchè ha problemi di apprendimento. E io devo accompagnare il piccolino alla fermata del pullman vicino a viale Campania dove passa il mezzo che lo porta ala Nostra Famiglia di Bosisio Parini, la struttura che lo accoglie ogni giorno».
La soluzione
Eppure una possibilità per loro ci sarebbe e Stefania sta sperando con tutte le sue forze che si possa trovare una soluzione. «C’è una casa comunale in via Meda, molto più grande, perfetta per noi quattro, vicina alla fermata del pullmino per disabili del bimbo e alla scuola della mia mezzana». E allora dove sta il problema? «Purtroppo ci sono lavori di manutenzione da fare, il pavimento è tutto da ricostruire. E si sa che i fondi per le manutenzioni degli edifici scarseggiano. Ma vederci assegnata quella casa risolverebbe almeno alcuni problemi logistici, migliorando la qualità di vita di tutti noi».
E sognare, almeno quello, non costa niente.