Non c'è pace per Silvia: da cinque anni lotta per l'affido della figlia. L'avvocato "Andremo fino in fondo"
Il viaggio in Belgio avrebbe dovuto risolvere la contesa, invece la situazione è precipitata
Quando ormai sembrava che il peggio fosse alle spalle, ecco che l’incubo torna a materializzarsi. Non c’è pace per Silvia, la 43enne di Lissone che da più di cinque anni combatte contro le matasse del sistema giudiziario per riuscite a ottenere l’affido della propria bambina. Della sua storia ne abbiamo parlato settimana fa proprio sulle pagine del Giornale di Monza, alla quale la donna si era rivolta per cercare di smuovere una situazione al limite del paradossale.
Non c'è pace per Silvia: da cinque anni lotta per l'affido della figlia
E dopo le prime incoraggianti notizie, un nuovo abisso sembra aprirsi davanti a lei. Già, perché proprio nel corso dell’ultima settimana Silvia si è vista letteralmente strappare dalle proprie braccia la sua piccola di sei anni, che ora si trova in Belgio nella casa di suo padre. Proprio quell’uomo da cui la lissonese sta cercando di proteggerla.
Ma facciamo un passo indietro. La donna, ormai dal 2016, sta lottando per poter tornare ad avere una vita serena in compagnia della propria figlia. E lo sta facendo non solo contro l’ormai ex compagno (e padre della piccola) di origini belghe, ma anche contro gli inghippi dei Tribunali. Proprio così, perché al termine di una lunga battaglia legale condotta sia in Italia che in Belgio, Silvia si è trovata di fronte a due sentenze diametralmente opposte. Da una parte il Tribunale di Monza, che sancisce l’affidamento super esclusivo della bambina a favore della madre; dall’altra il Tribunale dei Minori di Milano che invece impone il rimpatrio della piccola in Belgio, dove vive il padre.
Un’assurdità contro la quale la donna e i suoi avvocati si sono sempre battuti, ma che alla fine hanno dovuto accettare nonostante il divieto di espatrio emesso nei confronti della bambina sempre dal Tribunale monzese. A dicembre le autorità avevano dunque imposto alla 43enne di far rientrare in Belgio la bambina facendo riferimento a un vecchio accordo che i genitori avevano raggiunto (ma mai ratificato ufficialmente davanti a un giudice) e con il quale indicavano una residenza temporanea in Belgio per la propria figlia. Sarebbe dunque bastato un viaggio in Belgio e un colloquio con le autorità locali per sistemare la questione una volta per tutte. O almeno così sembrava.
«Il provvedimento sarebbe dovuto scattare il 2 gennaio - il racconto della mamma coraggio - Abbiamo ricevuto la visita a casa degli inquirenti, ma fortunatamente la bimba è rimasta con me, anche perché abbiamo dimostrato la nostra intenzione di partire in maniera autonoma il successivo 12 gennaio. Eravamo ormai certi che tutto fosse risolto».
E così è stato, senza sapere però che quel volo avrebbe rappresentato l’inizio di un nuovo incubo.
«All’atterraggio il capitano ha chiesto di me e mia figlia, invitandoci a rimanere ferme perché sarebbe arrivata la Polizia belga a prelevarci - prosegue la donna - Siamo state fatte scendere e accompagnate in un ufficio. Siamo state trattate come delle terroriste: mai visto una cosa del genere, sono ancora allibita dal trattamento che abbiamo subito. Gli agenti mi hanno intimato di lasciare la bambina, in barba al documento di affido esclusivo in mio possesso. Addirittura mi hanno strappato dalle braccia la piccola, che ovviamente piangeva e non voleva saperne di staccarsi da me. Le dicevano persino di non guardarmi, ma di andare con loro. Nessuno di noi però capiva cosa stava realmente accadendo in quei frangenti. Persino i miei legali sono rimasti interdetti di fronte a quello che abbiamo vissuto perché nessuno ha idea delle motivazioni di questo provvedimento emesso dalle autorità belghe. E’ stata un’esperienza assurda che non trova alcuna spiegazione. Alla fine mia figlia è stata consegnata al padre direttamente in aeroporto: una follia se pensiamo che lo stesso Tribunale dei Minori aveva sì imposto il rimpatrio, ma ci aveva intimato di non consegnare in alcun modo la bimba al mio ex compagno. Lei era riluttante, ovviamente, anzi ha cominciato a piangere, mostrando chiaramente di voler rimanere con me. Ma non c’è stato niente da fare, alla fine me l’hanno portata via».
Il provvedimento avrebbe dovuto una durata temporale provvisoria di sole 24 ore, ma al momento il termine non è stato rispettato. Al momento dunque Silvia è tornata in Italia e purtroppo riesce a vedere la figlia con il contagocce.
«Il padre continua a trovare scuse per non farmi vedere la bimba attraverso videochiamate e io comincio a essere davvero preoccupata della situazione - confessa lei - Non so più cosa pensare. Speravo che ormai il peggio fosse alle spalle, invece i miei timori stanno per diventare realtà. Il mio ex compagno sta riempiendo di giochi la piccola nel tentativo di “comprare” il suo affetto e tenerla buona. Tra poco inoltre inizierà la scuola e lei si trova in un Paese straniero senza conoscere nulla della lingua. Sono seriamente in ansia per lei e per il suo futuro».
Le parole dell'avvocato
La 43enne è assistita dallo studio dell’avvocato monzese Luca Zita, specializzato in casi simili avendo già «recuperato» minori in situazioni molto delicate anche nel recente passato.
«Andremo fino in fondo a questa vicenda - annuncia il legale - E’ inammissibile che una madre, alla quale la Legge italiana assicura l’affido super esclusivo della propria figlia venga trattata in questo modo così assurdo, quasi disumano. La consegna della bimba al padre aveva come presupposto un provvedimento della Procura belga che addirittura contrastava con le proprie stesse leggi interne. Il tribunale civile belga, in particolare la Corte di Cassazione, si era già espressa sull’argomento, imponendo ai propri giudici di riconoscere come efficace e definitivo il decreto di affido esclusivo emesso da Monza. L'ambasciata e il consolato italiano hanno chiesto chiarimenti alle autorità competenti, ma a oggi non è stato fornita alcuna spiegazione. In buona sostanza il padre tiene la figlia senza alcun titolo, ma solo sulla base della propria parola, e per questo stiamo formalizzando una denuncia anche in Belgio per sequestro di persona. Ci siamo già attivati per ottenere tutti i documenti del caso e valuteremo ogni procedimento utile a ristabilire la verità. Da questo punto di vista siamo inamovibili: riporteremo la bambina a casa tra le braccia della mamma».
(nell'immagine in anteprima Luca Zita, l’avvocato con studio a Monza che sta seguendo lo spinoso caso)