Ai domiciliari a Panama da novembre dopo quattordici mesi di carcere: «Ho visto l’inferno»
Il 39enne Stefano Conti rischia trent’anni di reclusione per il reato di tratta delle persone a scopi sessuali. Lui si proclama innocente
E’ agli arresti domiciliari dallo scorso novembre in attesa di giudizio dopo un anno e due mesi di reclusione preventiva in una delle carceri più dure al mondo. Liberato del braccialetto elettronico giovedì, Stefano Conti, classe 1985, trader di successo cresciuto tra Bovisio Masciago e Cesano Maderno, a Panama da sette anni, sta lottando per tornare a casa dal Centro America.
Ai domiciliari a Panama da novembre dopo quattordici mesi di carcere
E’ stato arrestato il 15 agosto 2022 mentre era su un aereo pronto al decollo.
«Non stavo scappando e mi hanno fermato senza darmi spiegazioni. Solo il giorno dopo hanno fatto partire l’indagine e hanno cominciato a costruire il castello di accuse contro di me». Tratta delle persone a scopi sessuali il reato che gli viene contestato e per cui rischia trent’anni di reclusione: avrebbe favorito la prostituzione facendo arrivare a Panama ragazze colombiane. Lui si proclama innocente.
«Ho visto l’inferno»
Nei 423 giorni in regime di carcere preventivo nella sovraffollata struttura di massima sicurezza Conti ha vissuto «l’inferno: sono stato in condizioni disumane, i primi giorni in isolamento senza acqua e luce e poi in una cella di 60 metri quadrati condivisa con altri 25 detenuti, niente ora d’aria, acqua per lavarsi solo per un’ora al giorno e un pugno di riso per cibo, scarafaggi e topi, violenza e corruzione - spiega al telefono - Senza un primo soccorso attivo, ho preso la scabbia e rimediato quattro cicatrici per infezioni nel sangue. Ho assistito a sei omicidi e otto sparatorie, risse all’ordine del giorno. Una notte, un detenuto è stato sgozzato in cella. Quando sono venuti a prendere il corpo, dopo due ore, lo hanno caricato su una carriola arrugginita e a ogni passo la testa a penzoloni sbatteva contro il muro, tanto che alla fine si è staccata».
«Nessuno può capire quello che ho passato. Se sono ancora vivo lo devo ai soldi che mi sono guadagnato con il mio lavoro perché in carcere c’era una tale corruzione che solo grazie al mio denaro potevo permettermi qualcosa in più da mangiare e bere o i telefoni cellulari per comunicare con l’esterno. Se chiudo gli occhi rivedo tutto, se li apro pure. Io, lì dentro, non ci voglio tornare: rischio la vita».
La richiesta d'aiuto
Chiede aiuto, Stefano Conti, e lo fa con l’unico modo che ha per uscire dall’appartamento in cui è confinato: un canale Telegram e un profilo su TikTok.
Ad aprile il colpo di scena: alla prima vera udienza del processo le presunte vittime, sei ragazze colombiane, hanno ritrattato e il loro avvocato ha presentato querela nei confronti del pubblico ministero per pressioni e minacce. Conti è un fiume in piena:
«Chiedo a tutti: se quelle ragazze dicono di non essere più parti offese, di cosa sono accusato? Per cosa sono stato rinviato a giudizio? Qualcuno ce l’ha con me perché ho fatto resistenza, è evidente: ho denunciato la Procura per cospirazione. Ho sopportato troppo e ho speso tutto quello che potevo per pagare sette avvocati. Adesso basta. Cosa dovrei fare, restare qui in balia degli eventi in attesa che mi facciano il processo il prossimo febbraio? Il governo italiano mi deve aiutare, che mi facciano un processo, ma in Italia, nel rispetto dei diritti civili».
E aggiunge: «Ringrazio l’avvocato Vincenzo Randazzo, l’unico che ci ha sempre creduto e non ha mai mollato, e l’onorevole Andrea Di Giuseppe (deputato di Fratelli d’Italia eletto all’estero nella circoscrizione Nord e Centro America, nda) che sta seguendo la mia vicenda dall’inizio ed è stato anche in Aula».
Diplomato all’Iris Versari di Cesano, Conti è un trader professionista e ha girato il mondo prima di trasferirsi e mettere radici a Panama dove, prima di essere catapultato in un incubo, viveva nel lusso.
«Mi piacciono le donne e amo divertirmi - ammette - Ho cercato compagnie a pagamento ma non sono un delinquente. A Panama la prostituzione è legale e io non ho fatto nulla per agevolarla».
L’avvocato Randazzo: «Il governo si attivi e lo riporti in Italia»
Per l’avvocato Vincenzo Randazzo, legale di Stefano Conti in campo nazionale e internazionale, «è necessario un procedimento diplomatico di rilevante entità che porti ad un colloquio urgente con lo Stato di Panama per ottenere il rientro in patria del signor Conti che, dopo l’intervento legale dei suoi avvocati in loco, e politico dell’onorevole Andrea Di Giuseppe, si trova sottoposto a misura domiciliare ma rischia l’imminente rientro in carcere, tra i peggiori al mondo e che, in caso di condanna, a differenza di quanto previsto in Italia per reati simili, rischierebbe ben oltre trent’anni di reclusione».
In attesa del giudizio, l’avvocato Randazzo chiede dunque il rientro in patria del 39enne cesanese che «non può e non deve subire disumani trattamenti» e che in carcere «ha rischiato e continuerebbe a rischiare la propria vita».
«E’ chiaro che nessuno chiede l’intervento nella sovranità statale ma secondo quanto previsto dai trattati e dalle convenzioni internazionali e specificatamente quelle tra Italia e Panama, anche in attesa di giudizio e per il principio di leale collaborazione tra Stati questa evenienza è possibile» precisa il legale, che ricorda che «qualcosa di simile è già stato fatto per Alessia Piperno, la blogger romana trentenne arrestata a Teheran il 28 settembre 2022 e rimasta in carcere in Iran per 45 giorni. «Il rilascio e il rientro in Italia è arrivato grazie a un lavoro durato oltre un mese che si è mosso su un doppio canale, quello diplomatico e quello d'intelligence» commenta l’avvocato Randazzo.
Per il legale è inoltre «indispensabile far valere, anche se in campo internazionale, quanto prescritto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e soprattutto dalla Convenzione di Strasburgo con riferimento a cittadini italiani detenuti o sottoposti a procedimenti all’estero. Ci sono tutti i requisiti per cui il signor Conti possa ottenere il trasferimento in Italia in attesa di giudizio. In alternativa, ben si potrebbe chiedere la cessazione della misura cautelare in atto, conferendogli la libertà, sempre in attesa dell’esito processuale, di poter tornare in Italia. In quest’ultimo caso, in realtà, come previsto dai trattati internazionali, Conti sarebbe libero di tornare in Italia senza chiedere alcuna autorizzazione. Non ci sono indizi gravi di colpevolezza (tanto che è stata sostituita la prima misura detentiva) o nemmeno il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove».