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Divorzio, cinquant’anni fa il referendum. Anche la Brianza salvò il diritto di lasciarsi

Nel maggio del 1974 gli italiani si espressero sulla legge Fortuna-Baslini

Divorzio, cinquant’anni fa il referendum. Anche la Brianza salvò il diritto di lasciarsi
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Cinquant’anni fa, tra il 12 e il 13 maggio del 1974, gli italiani si recarono in massa alle urne per rispondere a un quesito: volete che sia abrogata la legge sul divorzio? Il 59,3 per cento mise una croce sul «no». Fu il primo referendum abrogativo nella storia della Repubblica, un spartiacque in tema di diritti civili.

Divorzio, cinquant’anni fa il referendum

La normativa che porta il nome di un socialista e di un liberale, la Fortuna-Baslini del 1970, rimase così in vigore. Il suo ingresso fu più che mai divisivo. Il mondo cattolico, e non solo, da una parte con Democrazia cristiana ed Msi; le forze laiche e progressiste, costituite da comunisti, socialisti, liberali e repubblicani dall’altra. Alla Camera la legge ottenne nel novembre del 1969 325 voti favorevoli e 283 contrari. In Senato approdò un testo che prevedeva il tentativo obbligatorio di conciliazione e l'innalzamento da cinque a sette anni del periodo di separazione: i «sì» furono 164, 150 i «no». Il via libera definitivo lasciò a stretto giro il passo alla consultazione popolare del '74, voluta dalla Dc con l’appoggio del Movimento sociale italiano. Le firme raccolte furono oltre un milione e 300 mila a fronte delle 500 mila richieste. A guidare il comitato nazionale per l'abrogazione era il giurista Gabrio Lombardi, nipote di padre Riccardo, meglio noto come il «microfono di Dio». Vicepresidente di quello lombardo, lo scrittore besanese Eugenio Corti.

Fanno impressione i numeri di allora se confrontati con l’ormai scarsa abitudine degli italiani a recarsi alle urne: il 12 e 13 maggio parteciparono al voto l'87,7 per cento degli aventi diritto, oltre 33 milioni di persone, al termine di una campagna referendaria accesissima con comizi pieni di sostenitori di entrambi gli schieramenti, strade affollate di striscioni e manifesti, personaggi noti in campo. 19.138.300 gli elettori (il 59,26 per cento) che votarono contro l'abrogazione della legge. I voti favorevoli furono 13.157.558 (40,74 per cento). Lo Stivale risultò spaccato a metà, con il Nord e il Centro che si espressero per mantenere la legge Fortuna-Baslini e un Sud prevalentemente anti-divorzista.

Anche la Brianza salvò il diritto di lasciarsi

E in Brianza? L’affluenza media superò quella nazionale con il 95,38 dei brianzoli in fila con la tessera elettorale in mano. Tra i cinquantacinque Comuni dell’attuale provincia di MB, in trentasei si espressero a favore del divorzio. In alcuni la vittoria fu di misura, come a Seregno con i «divorzisti» al 50,48 per cento, in altri si raggiunsero picchi sopra il 60 per cento: a Barlassina, Brugherio, Burago, Carnate, Ceriano, Desio, Lentate, Monza, Muggiò, Nova Milanese, Varedo e soprattutto Limbiate dove i «no» arrivarono al 74 per cento. Diciannove, invece, i «conservatori», concentrati nell’area del Caratese, in particolare nella Besana in Brianza di Eugenio Corti: 60,56 la percentuale dei «sì» superata solo a Sulbiate e Ronco Briantino.

Prima della legge - Viaggi all’estero e Sacra Rota per dirsi addio

Una proposta di legge per l’istituzione del divorzio venne presentata per la prima volta al Parlamento italiano nel 1878. A prendere l’iniziativa fu un deputato del Salento, Salvatore Morelli. Il suo primo progetto di legge non ebbe successo, ma senza scoraggiarsi lo ripresentò due anni dopo, nel 1880, ottenendo un risultato allo stesso modo negativo. Dopo la sua morte, avvenuta nello stesso anno, il divorzio trovò altri fautori, e progetti di legge vennero presentati nel 1882, nel 1883 e, dopo un periodo di silenzio, comparirono ancora nel 1892. Fu necessario arrivare al 1902 perché si avesse l’impressione che una legge divorzista stesse realmente prendendo forma. In quell’anno il Governo presentò un disegno di legge che prevedeva il divorzio in caso di sevizie, adulterio, condanne gravi ed altro, ma anche questa volta cadde con 400 voti sfavorevoli contro 12 a favore. Simile, pure nel risultato, la proposta datata 1954 del deputato socialista Luigi Renato Sansone per l’istituzione del cosiddetto «piccolo divorzio«.

In assenza di una normativa, le persone facoltose si dicevano comunque addio, rivolgendosi al Tribunale Ecclesiastico della Sacra Rota, oppure facendo delibare in Italia sentenze di divorzio pronunciate da tribunali di Paesi dove la legislazione locale consentiva il divorzio anche di cittadini stranieri, come Messico e San Marino. Il resto dei coniugi che si separava si doveva rassegnare a non potere regolarizzare le unioni con successivi copagni e i figli nati da loro, i quali, sino alla Riforma del Diritto di Famiglia nel 1975, continuarono a subire discriminazioni.

Con la Riforma Cartabia, domanda unica per separazione e divorzio e tempi più veloci

«Per la mia esperienza professionale il trend dei divorzi è stato pressoché crescente, in particolare dall'introduzione del cosiddetto divorzio breve, che ha ridotto l'intervallo di tempo tra la separazione e il divorzio (un anno per i procedimenti giudiziali e sei mesi per quelli consensuali) e dall'avvento delle procedure consensuali stragiudiziali. In particolare la possibilità di ricorrere alle procedure extragiudiziali ha dato luogo ad una considerevole riduzione dei tempi, esonerando le parti dal coinvolgimento emotivo nelle fasi processuali».  Lo spiega l’avvocato Claudia Biava del foro di Milano.

Claudia Biava

Anche la recente riforma Cartabia ha favorito uno snellimento?
«Si, laddove ha consentito - nei procedimenti congiunti - di sostituire la comparizione delle parti davanti al giudice con la trattazione scritta. Un'altra novità di rilievo è stata l'introduzione di un procedimento cumulativo che consente di proporre, con un'unica richiesta, sia la domanda di separazione che quella di divorzio. In tal caso, pur nel rispetto dei termini normativi, i giudici esamineranno in successione le due diverse domande, risparmiando alle parti numerose comparizioni negli uffici giudiziari».

E per quanto concerne la tutela dei figli, laddove ci sono?
«La riforma ha previsto un rito unico per la famiglia, che mette al centro l'interesse del minore, al quale potrà essere nominato un curatore speciale e potrà essere sentito dal giudice relatore. Il rito unico si applica tanto alle coppie sposate, che alle famiglie di fatto. Il giudice potrà pronunciare provvedimenti urgenti e indifferibili. È prevista, in caso di domande di contributo economico o di presenza di figli minori un'ampia disclosure rispetto a redditi e al patrimonio che impone alle parti precise allegazioni circa le proprietà immobiliari, conti correnti, titoli, partecipazioni societarie, proprietà mobiliari. Inoltre in caso di abusi familiari, violenza domestica o di genere la riforma Cartabia ha previsto un dimezzamento dei tempi per far ricorso al giudice, il quale avrà più ampi poteri istruttori. Sono previste tutele per la vittima di violenza, che non dovrà comparire davanti al giudice che, in questi casi, non dovrà procedere con il tentativo di conciliazione».

 

L’ultimo comizio con Fanfani

Se la ricorda bene, la campagna referendaria della primavera 1974, Rosella Panzeri, sindaco di Monza dal 1986 al 1988 e poi dal 1988 al 1991. Attiva nel mondo del volontariato cattolico, interessata alla cosa pubblica, sarebbe stata eletta per la prima volta in Consiglio comunale nel 1975, tra i giovani della Dc (aveva 24 anni).

Rossella Panzeri

«Nel 1974 già facevo politica e assistetti al comizio finale della campagna referendaria, in piazza Duomo a Milano, dell’allora segretario della Dc, Amintore Fanfani». Il cui acume politico era inversamente proporzionale alla statura: «Gli avevano messo, dietro al podio, un predellino troppo basso. Da dove eravamo noi si sentiva solo la voce ma non lo si vedeva spuntare dal leggìo» sorride al telefono Panzeri. Chissà: svista logistica o tiro di qualche nemico di un’altra corrente democristiana?
«Ero convinta della battaglia contro il divorzio. Non ero sposata né c’era pericolo che mi sposassi... Conosco persone che si sono separate anche più volte. Comprendo le ragioni umane e la sofferenza di chi si separa, ma la legge sul divorzio non ha dato forza a un tentativo per rimettere insieme i cocci di una coppia in rotta. Poi di mezzo ci vanno i figli. La legge ha favorito involontariamente l’indifferenza di oggi: ci si lascia come bere un bicchier d’acqua, l’eccezione per i bambini è avere “solo” quattro nonni».

«Una battaglia per le donne»

«Ho votato no all’abrogazione della legge, convintamente, anche se ricordo che in tutte le famiglie c’erano posizioni diverse».

Annalisa Bemporad, storica bibliotecaria e poi assessore alla Cultura nella Giunta Faglia (2002-2007), aveva 31 anni all’epoca del referendum: «Come ebraici abbiamo sempre avuto la possibilità di divorziare, a certe condizioni. Quindi eravamo favorevoli. Era la legge italiana a escludere il divorzio. Che poi resta una opzione: se si hanno motivi morali e/o religiosi, non si pratica il divorzio».

Annalisa Bemporad

«Ero convinta che fosse importante avere il diritto di scelta della propria condizione. Non ebbi sentore, all’epoca, che fossero state le donne a essere decisive nell’esito del referendum. Certo, allora ci furono molti cambiamenti nel diritto di famiglia (ad esempio l’abolizione del delitto d’onore) tesi a bilanciare meglio diritti e doveri tra uomini e donne».
Per Bemporad l’introduzione del divorzio «fu una tappa fondamentale nella battaglia per il riconoscimento dei diritti delle donne, fino ad allora relegate a funzioni casalinghe, riproduttive e di cura. Quella legge condizionò anche interventi legislativi successivi di apertura a maggiori diritti per tutti, e in primis per le donne».

Bandiera Rossa a casa del don

«La sera del referendum sul divorzio, per festeggiare la vittoria del diritto di lasciarsi, andammo a festeggiare davanti alla chiesa di Bernate e intonammo Bandiera Rossa a squarciagola sotto la casa dell’allora parroco».
Altro che leggenda, è accaduto veramente. A distanza di cinquant’anni quella che molti arcoresi pensavano fosse una leggenda tramandata di generazione in generazione è stata puntualmente confermata direttamente da chi quella sera c’era.
Lui è Roberto Sala, padre della Sinistra arcorese.

Roberto Sala

«Quegli anni c’era grande vivacità politica anche ad Arcore - ha sottolineato Sala - Noi della sinistra extraparlamentare attaccavamo in maniera pesante la Democrazia Cristiana e fummo attori protagonisti di diverse lotte che segnarono il periodo. L'organismo politico che raccoglieva la "miglior gioventu'" della sinistra arcorese era il Collettivo Comunista Arcorese. Fu in questo clima che decidemmo di recarci a Bernate, fuori dalla sede parrocchiale, per manifestare la nostra gioia per la vittoria nel referendum, in quello che era un luogo simbolo delle posizioni più retrive in città, ecllesiastiche e non, contro la legge. Mentre noi cantavamo Bandiera Rossa lui uscì di casa, si pose davanti alla sua moto, il mitico Galletto della Guzzi, gridando ripetutamente "Andrete all'inferno peccatori”».

La responsabilità dei cattolici

A guidare il comitato nazionale per l'abrogazione della legge Fortuna-Baslini era il giurista Gabrio Lombardi. Vicepresidente e «capo» effettivo di quello lombardo, lo scrittore besanese Eugenio Corti che aveva conosciuto Lombardi sotto le armi, nel Corpo italiano di liberazione.

Eugenio Corti

Nel 2010, ad un passo dai novant’anni, Corti - scomparso il 4 febbraio 2014 - aveva raccontato la sua battaglia contro il divorzio in una lunga intervista curata da Giampaolo Cerri su «Il giornale della memoria». Battaglia che l’aveva tanto coinvolto da entrare nel suo capolavoro, «Il cavallo rosso»: il celebre romanzo inizia con l’entrata in guerra dell’Italia e si conclude proprio alla vigilia del voto sul divorzio, con il protagonista Michele che partecipa alla mobilitazione referendaria.
Rispondendo alle domande di Cerri, lo scrittore ricorda gli incontri pubblici con il Comitato.

«Mostravamo, dati alla mano, che laddove si era introdotto il divorzio, c’era stata una moltiplicazione delle divisioni rispetto alle separazioni precedenti. E soprattutto cercavamo di rendere consapevole la gente che il divorzio avrebbe distrutto la famiglia». Per poi soffermarsi sul giorno della sconfitta alla quale contribuirono i «cattolici dissenzienti». «Se la Chiesa avesse insistito - aveva detto fuori dai denti - probabilmente quei tre milioni di voti per il divorzio, decisivi per il risultato, non ci sarebbero stati. E invece il Papa, nei giorni del referendum era all’estero, in visita apostolica».

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