Filantropia

Fondazione Cariplo aumenta le risorse per le comunità: 215 milioni nel 2025

Il presidente Giovanni Azzone spiega gli obiettivi per il prossimo anno, a partire dalle tre nuove sfide di mandato con iniziative a favore dei Neet e delle persone in difficoltà

Fondazione Cariplo aumenta le risorse per le comunità: 215 milioni nel 2025
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Fondazione Cariplo aumenta il suo impegno di fronte ai bisogni crescenti, passando da 150 milioni a oltre 215 milioni di euro di risorse destinate per il 2025. E lancia tre nuove sfide di mandato, da 20 milioni di euro ciascuna, con iniziative a favore dei giovani, soprattutto quelli che non studiano e non lavorano, e delle persone in difficoltà. Con il presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone, abbiamo approfondito il motivo di questo maggiore impegno e gli obiettivi dell'ente filantropico per il prossimo anno.

Fondazione Cariplo aumenta le risorse per le comunità

Presidente Azzone, come è stato possibile? E perché è stata presa questa decisione?

"Il motto di Fondazione Cariplo è “tute servare munifice donare”, conservare con cura e donare con generosità. Quindi, garantire e mantenere la crescita del patrimonio che nei secoli la Fondazione ha ereditato e messo da parte. Nell’ultimo anno, i risultati di Banca Intesa Sanpaolo e la nostra gestione hanno fatto crescere in modo importante il patrimonio della Fondazione. E lo facciamo per erogare servizi alla collettività".

L’altra novità rilevante riguarda le 3 sfide di mandato, che verranno definite entro fine anno, una delle quali però è già stata individuata a favore dei giovani e in particolare dei Neet, che in Lombardia sono ben 220.000. E’ un modo per aiutare a risolvere il disagio giovanile? E’ anche una soluzione per aiutare le imprese a trovare giovani talenti?

"In generale, ci sembra un tema importantissimo a tutti i livelli. Siamo una comunità che sta invecchiando e abbiamo bisogno di una forza lavoro giovane. Se non riusciamo a coinvolgere e integrare nel mondo del lavoro tutti i ragazzi avremo diversi risvolti negativi: un sistema del welfare che non riesce a reggere, un mondo delle imprese che non trova forza lavoro e tanti ragazzi che si sentono esclusi dalla società. Se invece riusciamo a intervenire rendendoli parte della società, stimolandoli e facendogli ritrovare l’amore per lo studio e per il lavoro, potremo dare un contributo positivo ai problemi della nostra società".

In questo ambito, avete già individuato un’azione particolare?

"No, non lo abbiamo ancora individuato ma per un motivo specifico: poiché è richiesta la coesistenza di tante azioni e necessità: individuare i Neet, ingaggiarli e ridare speranza a persone che magari si sono sentite abbandonate, offrire un intervento formativo e trovare dei luoghi lavorativi che siano inclusivi. I soggetti che hanno le competenze per affrontare queste varie fasi sono diversi, dal pubblico al terzo settore al privato. Tanti soggetti che devono riuscire a coordinarsi. Ci piacerebbe coinvolgerli tutti in un progetto di comunità".

Giovanni Azzone, presidente di Fondazione Cariplo

Su quali filoni state lavorando per individuare le altre sfide di mandato?

"Abbiamo deciso di fare un percorso molto partecipativo del nostro organo di indirizzo, la Commissione Centrale di Beneficenza, proprio perché di problemi rilevanti nel territorio ce ne sono tanti. Quindi c’è un tema di scelta, individuare tre temi che ci sembrano particolarmente critici. Siamo partiti da una decina di ipotesi e adesso prevediamo entro la fine dell’anno di arrivare a una scelta. Dall’attenzione ai giovani al tema dei diversamente abili, dalla questione delle carceri all’assistenza alla prima infanzia".

Fondazione Cariplo, nei suoi oltre trent’anni di attività, ha contribuito enormemente a valorizzare il Terzo settore, poi ha rafforzato la sua presenza nei territori istituendo le Fondazioni di Comunità che hanno festeggiato i loro primi 25 anni di vita. Ora volete accrescere la collaborazione con aziende e istituzioni. Il fatto di lavorare insieme permette di individuare meglio i problemi e le soluzioni?

"Sì, perché ci troviamo di fronte a problemi complessi, che non hanno soluzioni semplici. Di fatto, rispetto a questi problemi ci sono tanti soggetti che hanno una parte delle competenze necessarie per affrontarli, e anche punti di vista differenti. Riteniamo che in una comunità forte questo sia un valore. Se pensiamo al tema del lavoro è l’insieme di tante difficoltà diverse: dalla casa alla formazione al sostegno familiare. Un problema complesso richiede tante soluzioni di dettaglio, noi parliamo infatti di welfare di precisione: non c’è una risposta ma le risposte per le singole persone. E queste risposte richiedono il coinvolgimento di tutti i soggetti".

La Fondazione in questo modo cerca di mettere insieme concretamente tutti gli attori del territorio?

"La nostra Fondazione ha una missione specifica e per questo cerchiamo il coinvolgimento di tutti, anche della pubblica amministrazione, quindi indirettamente la politica, ed è importante farlo perché senza un sostegno delle istituzioni è difficile cambiare e migliorare la realtà".

Come già l’anno scorso, anche nel Documento Programmatico di Pianificazione Annuale 2025 si affronta il tema del monitoraggio e della valutazione dei risultati. Perché questa necessità? Dopo oltre trent’anni di attività la Fondazione sta cambiando pelle?

"Non cambia pelle nel senso che la sua missione è sempre la stessa: riuscire a rendere più forti le nostre comunità. Però dobbiamo svolgere questa missione in un mondo che sta cambiando, quindi utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. Un tema è la valutazione di impatto, che ci aiuta a capire quali sono gli esiti delle diverse misure che mettiamo in campo".

La Fondazione oggi ha uno sguardo molto più aperto all’Italia, all’Europa e al mondo. Qual è il senso di questa volontà di allargare i confini?

"E’ un doppio senso. Il primo è che con un mondo globalizzato e aperto le connessioni fra le diverse comunità sono sempre più forti. Non possiamo pensare che il nostro territorio prosperi mentre intorno ci siano delle macerie: tutta la comunità nazionale deve essere forte altrimenti anche le nostre comunità ne risentiranno. Dall’altro senso, lo sguardo all’Italia e soprattutto all’Europa serve perché c’è sempre da imparare: siamo una fondazione che ottiene risultati positivi ma all’estero ci sono esperienza che ci aiutano a fare meglio il nostro lavoro".

Siamo nell’era dell’Intelligenza Artificiale: si tratta di un’opportunità, un mezzo che ci aiuta a gestire una gran mole di informazioni, oppure di un rischio destinato a cancellare tanti posti di lavoro?

"La tecnologia non è autonoma nel decidere il suo futuro, il suo impatto dipende moltissimo da noi. L’Intelligenza Artificiale ci consente di accedere a grandi moli di dati e di sistematizzarli, infatti la definisco una capacità di elaborazione importante più che intelligenza, che è una visione innovativa. Però, di fatto, ci può aiutare ad accedere a una grande quantità di informazioni risparmiando tempo. Ma cosa faccio del tempo risparmiato? Riusciamo a liberare risorse e tempo delle persone che possono essere usate per fare altre cose o per migliorare la qualità della propria vita. Se non facciamo questo e lo vediamo solo come una sostituzione di alcune forme di lavoro rischiamo di aumentare il numero di disoccupati e le tensioni sociali. Quindi serve una politica che anticipi le possibili conseguenze e cerchi di limitare quelle negative".

I giovani possono essere avvantaggiati nell’uso delle tecnologie, ma possono anche correre il rischio di perdere socialità…

"Sui giovani il tema della neutralità della tecnologia è ancora più forte, perché si trovano delle opportunità impensabili nel passato. E’ ovvio che l’accesso alle informazioni comprende sia informazioni positive ma anche informazioni non controllate. Servirebbe quindi sviluppare sempre di più la capacità critica dei più giovani e in questo la scuola credo sia un pochino in ritardo. Se i ragazzi hanno capacità critica riescono a cogliere gli elementi positivi della tecnologia senza farsi traviare dagli aspetti negativi".

In un contesto di guerre e crisi internazionali, dove la politica fa fatica a dare risposte, come un giovane può avere fiducia nel futuro? E quindi investire sulla sua crescita personale e professionale?

"Dovrebbe pensare alla storia. La storia ci insegna che l’umanità è riuscita a superare questi momenti di conflitto e a ritrovare opportunità di crescita. Quindi guardando al passato credo che i giovani imparerebbero a essere più ottimisti sul futuro. Che poi dipende anche da loro, dalla loro capacità di reazione".

Si continua ad affrontare il tema dell’immigrazione come un’emergenza. E’ un problema o un’opportunità? Come si può affrontarlo in modo più costruttivo e senza paure?

"Innanzitutto non è un’emergenza, perché non è più improvviso ma un fenomeno continuativo da decenni. Nella situazione che sta vivendo l’Italia la parte di opportunità potenziale credo stia diventando crescente rispetto ai rischi, perché in un Paese che invecchia non possiamo pensare di equilibrare l’aspetto demografico solo con le nuove nascite. Certo deve essere un’immigrazione guidata, dobbiamo fare in modo che le persone che arrivano possano integrarsi nella società. Vuol dire maggiore attenzione ai percorsi formativi e capacità di cogliere le potenzialità delle singole persone".

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