Il personaggio

Fotografo dei vip e pittore: la sua è davvero una vita da film

Franco Aquilini, 83 anni, parla ancora con l’entusiasmo di un ragazzo

Fotografo dei vip e pittore: la sua è davvero una vita da film
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Dice che «dipingere o, comunque, coltivare una passione mantiene giovani». E c’è da credergli: lui, 83 primavere sulle spalle, parla ancora con l’entusiasmo di un ragazzo. Francesco Aquilini - Franco o Aquila per gli amici - è reduce dal successo ottenuto dalla mostra delle sue opere allestita domenica l’altra in biblioteca a Veduggio con Colzano, in occasione della Fiera di San Martino.

Dalla guerra ai divi del cinema

Romano di nascita, con mamma austriaca e papà originario di Rieti, veduggese per amore di sua moglie venuta grande in paese e oggi residente a Inverigo, a Carpanea, ha vissuto una vita che meriterebbe di essere raccontata in un libro. Ha conosciuto gli orrori della guerra e l’estrema povertà del quartiere capitolino di CentoCelle per poi immergersi, con una sorta di doppio salto carpiato, nei fasti hollywoodiani. Ancora giovanotto divenne infatti fotografo all’hotel Excelsior, meta prediletta delle star del cinema.

Davanti al suo obiettivo passarono miti del calibro di John Wayne - «era un pò spaccone. Mi diede una mancia di 4 mila lire, quasi quanto guadagnavo in una settimana», ricorda -, Gary Cooper - «un metro e novanta di uomo, ne rimasi davvero colpito» -, Paul Anka, la regina Soraya. E poi Totò e Vittorio Gassman. Da Roma, negli anni Sessanta si trasferì a Milano, divenne fotografo di moda, inizialmente di intimo «per la gioia di mia moglie...», e poi di pubblicità. Nella prestigiosa agenzia Publimoda conobbe Mariangela Melato.

La passione risvegliata per la pittura

Accantonò per diversi anni la passione per l’arte sempre avuta - «anche perché con tre figli nati nel giro di tre anni era difficile avere un hobby» - fino al 1980 quando partecipò a un concorso artistico organizzato nelle ex scuole primarie di via Vittorio Veneto e lo vinse. Iniziò allora a frequentare il gruppo Gae di Erba e lì scattò la scintilla per le farfalle, partendo da un progetto sulle poesie di Pontiggia. Da fotografo abituato ad immortalare la realtà così come si presenta, a Franco non è mai interessato il figurativo. Le sue opere, dipinte nella taverna della sua grande casa, sono esempio di informale astratto. Ci sono le celebri ali di farfalla che «rivelano la sua connessione con il colore, usato a volte direttamente sulla tela, senza la mediazione del pennello, ma anche la cura del dettaglio negli inserti calligrafici, quasi pixel, omaggio ad una contemporaneità suggerita», come scrive si lui la critica e giornalista Chiara Ratti. E gli assemblaggi che domenica scorsa hanno piacevolmente sorpreso i visitatori arrivati in biblioteca a Veduggio perché capaci di «far sorridere e pensare».

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