La testimonianza

«Ho visto la distruzione, ma negli occhi dei terremotati c’era tanta gratitudine per non averli lasciati soli»

La testimonianza di Camilla Baserga, chirurgo medese partita per la Siria colpita dal sisma

«Ho visto la distruzione, ma negli occhi dei terremotati c’era tanta gratitudine per non averli lasciati soli»
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«Ripensando ad alcuni momenti mi viene il groppo in gola, ho visto da vicino la distruzione e la sofferenza. Ma ho scorto anche la gratitudine negli occhi dei ricoverati negli ospedali, quando ci incontravano: la nostra presenza per loro era il segno che non sono stati dimenticati».

«Ho visto la distruzione, ma negli occhi dei terremotati c’era tanta gratitudine per non averli lasciati soli»

Ha provato emozioni e sentimenti contrastanti il chirurgo maxillo facciale dell’Irss Galeazzi-Sant’Ambrogio Camilla Baserga, rientrata da pochi giorni dalla Siria, dove si è recata insieme ad altri medici specialisti per conto del Gruppo San Donato. La 34enne, da dieci anni residente a Milano ma cresciuta a Meda, era l’unica donna dell’equipe partita l’11 febbraio dall’aeroporto militare di Pisa, in Toscana, per portare gli aiuti umanitari alle popolazioni colpite dal sisma.

Quattro ambulanze, medicinali, dispositivi medici e vestiario, per un totale di circa 50mila pezzi, che sono stati distribuiti dalla Mezzaluna rossa siriana.

«La candidatura era spontanea, io mi sono messa a disposizione per dare un supporto a chi vive in quel territorio già martoriato dalla guerra civile e ora sconvolto anche dal terremoto - spiega - Il Gruppo San Donato ha poi effettuato una scelta sulla base delle esigenze riscontrate sul posto, selezionando me e due chirurghi ortopedici».

Aiutare, un desiderio più forte della paura

Naturalmente un po’ di paura c’era, ma il desiderio di aiutare era talmente forte che le è venuto istintivo gettare il cuore oltre l’ostacolo. «Ringrazio l’Ambasciata italiana in Siria, che ci ha assicurato la massima sicurezza per tutti i sette giorni di permanenza», sottolinea la dottoressa, che dopo essere tornata in Italia venerdì 17 si è subito rimessa al lavoro. Ma impresse nella mente e nel cuore ci sono ancora le immagini dei paesi devastati, i volti dei pazienti ricoverati negli ospedali di Aleppo e Latakia, «che erano sollevati solo per il fatto di vederci passare nei corridoi, perché non si sentivano abbandonati». Ma anche quelli dei colleghi siriani, coi quali si è instaurato un bel rapporto di collaborazione, che potrebbe proseguire in futuro. «Non siamo andati lì per insegnare nulla a nessuno, non siamo “salvatori”, i medici del posto sono stati bravissimi a gestire una situazione di emergenza, drammatica - ci tiene a precisare Baserga, con molta umiltà - Abbiamo dato un supporto, una consulenza nei casi in cui era necessaria. E dato che anche nelle situazioni negative bisogna saper ricavare qualcosa di positivo, credo che siano state poste le basi per creare un ponte internazionale, un collegamento, una trasmissione di conoscenze e competenze. Uno scambio reciproco di informazioni, tecniche di intervento, modalità di operare. Una sinergia che sarà sicuramente proficua».

Un arricchimento professionale importante

Un’esperienza tosta, dalla quale la giovane medese è uscita arricchita dal punto di vista professionale. «A livello di competenze prima di partire mi sentivo pronta perché ero stata forgiata dai due anni trascorsi a Londra, al King’s College Hospital, un importante centro traumatologico dove mi sono confrontata con situazioni davvero pesanti - spiega - Dopo la laurea in Medicina alla Statale di Milano, la specialistica in Bicocca e il dottorato in Statale, a Londra ho misurato le mie capacità e perfezionato quanto appreso durante gli anni universitari. E mi sono sentita all’altezza per soccorrere i terremotati in Siria».

Anche se, ammette, «dal punto di vista psicologico per affrontare certe situazioni non si è mai pronti. E’ stato scioccante vedere chilometri e chilometri di case distrutte e pensare che in ognuna di quelle abitazioni c’erano famiglie alle prese con i problemi che tutti hanno. E che ora, con grande forza e coraggio, devono ripartire da zero, ricostruire la propria vita».

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