Dibattito

Invalidi gravi nelle Rsa: quando c’è il diritto a non pagare la retta?

Il caso sollevato da due sorelle che, a fronte di sentenze e pronunciamenti, si sono affidate a un legale

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Da sedici anni convivono con la malattia della loro mamma.
Per assisterla le sorelle Maria Grazia e Gabriella hanno lasciato la casa a Milano in cui vivevano per tornare a Monza da lei, rinunciando a buona parte di quella che definiscono la loro «vecchia vita».

Invalidi gravi nelle Rsa

«Nessun rimpianto, ovviamente - spiegano parlando di lei con estrema delicatezza e con gli occhi velati dalla commozione - Per nostra madre questo e altro. Ma assistere una persona malata di Alzheimer non è certo semplice: come ben sanno le famiglie che stanno affrontando questo nostro stesso momento di fragilità, tutto ciò comporta sacrifici enormi, compreso quello economico».
Un aspetto di non secondaria importanza. Prima - per dieci anni - hanno infatti sostenuto le spese per le due badanti che la assistevano di giorno, quando loro erano al lavoro. Poi - da sette anni a questa parte - c’è la copertura della retta mensile corrisposta alla Rsa in cui è ricoverata, la San Pietro, e nella quale si recano tutti i pomeriggi per farle visite.

I costi esorbitanti

Oltre duemila euro al mese che, moltiplicati per i sette anni di ricovero, fanno una cifra notevole, difficilmente affrontabile per la maggior parte delle persone.
Attualmente il costo per un paziente in Rsa è composto da due voci: il costo sanitario, rimborsato da Regione Lombardia, e quello per l’ospitalità, interamente a carico delle famiglie.
Eppure ci sono pronunciamenti della Cassazione e un Dpcm mai applicato che potrebbero far risparmiare alle famiglie - già messe a dura prova psicologicamente dalla malattia per proprio caro - almeno l’onere economico.

«I nostri diritti non rispettati»

«Informandoci sulla malattia di nostra madre abbiamo scoperto che c’è un Dpcm del 14 febbraio 2001 che dice che i malati con patologie quali Alzheimer e demenza senile sono a totale carico delle varie Asl di competenza - hanno spiegato Maria Grazia, che è amministratore di sostegno dell’anziana madre (compirà i 94 anni a febbraio), e la sorella Gabriella - In pratica dovrebbe essere il sistema sanitario a coprire per intero le rette delle strutture. Come lo abbiamo scoperto noi, ci piacerebbe che tutti ne venissero a conoscenza, perché i sacrifici a carico delle famiglie sono tanti e un aiuto, almeno sul versante economico, sarebbe già un grande sostegno».

"Il peso tutto sulle spalle delle famiglie"

Per questo si sono affidate a un legale, l’avvocato Giovanni Franchi, che ha presentato un ricorso in Tribunale a Monza e col quale sperano di poter far valere i propri diritti.
Un argomento, quello delle cospicue rette delle case di riposo (vuoi che la malattia sia l’Alzheimer, o che sia qualunque altra patologia legata all’età) decisamente spinoso, che vede da un lato le famiglie - che si trovano a dover affrontare spese altissime - e dall’altro un sistema sanitario pubblico le cui casse non godono di buona salute e che dunque difficilmente, a fronte di una popolazione sempre più anziana, può permettersi di farsi interamente carico dell’ospitalità nelle Rsa. Si riuscirà a fare in modo di conciliare le esigenze delle due parti? Prima o poi la politica (che è quella che nei fatti poi ci mette i soldi) dovrà fare i conti con questa situazione. Resta il fatto che, a oggi, di fronte alla malattia di un congiunto, il carico sia emotivo che economico ricade in gran parte sulle famiglie.

«16 anni con la sua malattia»

«Nostra madre si è ammalata 16 anni fa - hanno ricostruito le sorelle Maria Grazia e Gabriella - E da allora ci siamo entrambe prese cura di lei. Prima abitavamo a Milano, città che abbiamo lasciato per tornare a Monza, a San Biagio, dove risiedeva nostra madre prima del ricovero, per assisterla». Per dieci anni, con l’aiuto di due badanti, le sorelle sono riuscite a seguire l’anziana madre. Per un certo periodo, grazie a un progetto che era finanziato da Regione Lombardia, Residenza sanitaria aperta, si sono potute avvalere non solo di un’educatrice che andava direttamente a casa loro una volta alla settimana, ma anche di una visita geriatrica al mese.
Questo fino a che le condizioni legate alla malattia degenerativa non sono precipitate.

Il ricovero in Rsa

«Non avremmo mai voluto rivolgerci a una struttura - hanno ammesso - Ma sette anni fa l’Alzheimer si è aggravato, tanto da rendere impossibile una gestione della situazione da parte nostra». Di qui la necessità di optare per una Rsa. «Abbiamo scelto la San Pietro perché il progetto Residenza sanitaria aperta si appoggiava a loro e dunque ci è sembrata un’opportunità per garantire una certa continuità di cure a nostra madre».

Oltre 165mila euro di rette

Da sette anni, dunque, la signora è ospite presso la Rsa che, come tutte le altre case di riposo, ha i suoi costi. «Nostra mamma è rimasta vedova che aveva appena 38 anni e quindi può contare solo su una piccola reversibilità - hanno spiegato - Noi siamo pensionate e dunque una retta da oltre duemila euro al mese non è indifferente. A oggi per la sola casa di riposo, senza contare i precedenti dieci anni di badanti, abbiamo affrontato una spesa che raggiunge i 165mila euro. E nella nostra stessa situazione si trovano migliaia di famiglie in tutta Italia. Tutti noi dobbiamo in primis fare i conti con la difficoltà, estrema, nel far fronte a un nostro caro letteralmente divorato dalla malattia. Si vive costantemente con la paura che succeda qualcosa e si ha la sensazione di essere soli».

Quando c’è il diritto a non pagare la retta?

A ciò ci devono aggiungere le preoccupazioni economiche che non sono da poco. «Non tutti possono affrontare spese tanto ingenti. E la beffa è che la Cassazione e il Dpcm dicono che tali spese, qualora il paziente sia gravemente malato, sarebbero a carico del sistema sanitario nazionale. Perché allora nessuno mette in pratica quanto stabilito?».

Ventidue pagine in cui il legale, l’avvocato specializzato in tutela del consumatore Giovanni Franchi, mette nero su bianco quanto stabilito in precedenti sentenze (compresa una pronunciata a Monza che ha visto la condanna di una struttura per importi non dovuti dai parenti di un paziente con demenza senile), chiedendo il rimborso di quanto corrisposto finora dalle sorelle Maria Grazia e Gabriella per la permanenza della madre malata di Alzheimer (e invalida al 100 per cento) nella struttura in cui è ricoverata.
Il ricorso è stato presentato il 7 gennaio presso il Tribunale di Monza e la richiesta principale è quella di «dichiarare che nulla era dovuto dalla signora per il suo ricovero, essendo la retta a carico dell’Ats di competenza», come si legge nella documentazione depositata.
«La signora si trova ricoverata dall’11 marzo 2018 - ha premesso il legale - E da allora è stato corrisposto un importo complessivo di circa 165mila euro benché i pazienti, affetti da Alzheimer, come da demenza, ricorrendo alcune condizioni, non debbano alcunché».

Il ricorso

Ventidue pagine in cui il legale, l’avvocato specializzato in tutela del consumatore Giovanni Franchi, mette nero su bianco quanto stabilito in precedenti sentenze (compresa una pronunciata a Monza che ha visto la condanna di una struttura per importi non dovuti dai parenti di un paziente con demenza senile), chiedendo il rimborso di quanto corrisposto finora dalle sorelle Maria Grazia e Gabriella per la permanenza della madre malata di Alzheimer (e invalida al 100 per cento) nella struttura in cui è ricoverata.
Il ricorso è stato presentato il 7 gennaio presso il Tribunale di Monza e la richiesta principale è quella di «dichiarare che nulla era dovuto dalla signora per il suo ricovero, essendo la retta a carico dell’Ats di competenza», come si legge nella documentazione depositata.
«La signora si trova ricoverata dall’11 marzo 2018 - ha premesso il legale - E da allora è stato corrisposto un importo complessivo di circa 165mila euro benché i pazienti, affetti da Alzheimer, come da demenza, ricorrendo alcune condizioni, non debbano alcunché».

Cosa dice il tribunale di Firenze

In tal senso l’avvocato ha portato come esempio una sentenza del Tribunale di Firenze del 29 dicembre del 2020 e che riguarda proprio le rette di ricovero nelle Rsa e nelle strutture convenzionate a carico dei parenti dei malati di Alzheimer. «La causa aveva come oggetto l’opposizione a un decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dall’Azienda pubblica di servizi alla persona Firenze Montedomini, che intimava il pagamento di 18.803 euro oltre interessi legali e spese. Si trattava delle rette di ricovero della nonna dell’opponente, affetta da Alzheimer, al pagamento delle quali si era impegnata la nipote. Per il Tribunale le prestazioni ricevute in Rsa si qualificano come socio-sanitarie integrate e sono regolate dall’articolo 3 del Dpcm del 14 febbraio 2001, che effettua una distinzione tra le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, quelle a rilevanza sanitaria e quelle a elevata integrazione sanitaria. E per quel giudice il Dpcm del 14 febbraio 2001 avrebbe ulteriormente specificato che le prime sarebbero di competenza e a carico delle Asl, le seconde dei comuni con la compartecipazione di spesa da parte degli utenti, le terze, invece, del Fondo Sanitario ed erogate dalle aziende sanitarie».

Tali sarebbero «tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da Hiv e patologie terminali, inabilità e disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative…».
Sulla base di tale distinzione, «il Tribunale si è chiesto che tipo di prestazioni fossero fornite alla nonna dell’opponente, giungendo alla conclusione che si fosse al cospetto di quelle sanitarie a rilevanza sociale o, comunque, ad alta integrazione sanitaria - viene osservato nel ricorso - Di qui, quale conseguenza, l’inesistenza dell’obbligo di corrispondere la retta a carico del paziente, la nullità dell’obbligo assunto dalla nipote, la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna al rimborso di quanto corrisposto fino ad allora».

Una decisione, sottolinea il legale, «conforme a quella giurisprudenza che si è adeguata alla sentenza della Cassazione del 2012 che aveva stabilito come, nel caso in cui vi siano necessarie prestazioni sanitarie, la retta debba essere a carico del Servizio sanitario nazionale».
Una Rsa già condannata a Monza

Monza si è già espressa a favore delle famiglie

Anche il Tribunale di Monza, con una sentenza del 2017, si era pronunciato in merito a un caso di demenza senile, condannando una Rsa alla restituzione delle rette che erano state versate. «Con tale decisione il Tribunale ha osservato che i malati di Alzheimer e le persone con demenza senile in stato avanzato hanno sempre bisogno di prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria, con l’effetto che per loro tutta la spesa è a carico del Servizio Sanitario e che, pertanto, nulla può essere chiesto loro o ai parenti, come i figli o nipoti, che si sono obbligati ad esempio con un contratto, al pagamento della retta». Innumerevoli altre le sentenze portate come esempio, come tre condanne inflitte dal Tribunale di Roma alla Regione Lazio per la restituzione delle rette.
Senza scordare, aggiunge l’avvocato Franchi, «i sei pronunciamenti della Suprema Corte che vanno in tale direzione».
Da tempo, sottolinea il legale, «le giurisdizioni superiori, con pronunce costanti da molti anni, hanno ravvisato l'esigenza di tutelare i pazienti malati di Alzheimer con esigenze di cura e assistenza h24, facendo rientrare nell'alveo delle prestazioni ad alta integrazione sanitaria a carico del Sistema sanitario nazionale tutte quelle degenze che, per quanto croniche e durature, non possano dirsi sostitutive dell'assistenza familiare, poiché corredate di controlli e interventi costanti di personale qualificato medico o infermieristico».

I pronunciamenti della Cassazione

Recentemente, «e con ancora più forza rispetto alle pronunce più risalenti, la Corte di Cassazione ha identificato nella inscindibilità funzionale della prestazione socio assistenziale rispetto a quella sanitaria l'elemento sul quale debba vertere l'indagine per l'accollo dei costi delle rette di ricovero fra Asl da un lato e Comuni/pazienti dall'altro. Il che rafforza i diritti dei degenti perché anche solo un trattamento "salva vita" a opera del personale delle strutture di ricovero, non somministrabile a casa, è di per sé sufficiente a inquadrare il ricovero come prestazione socio-sanitaria a totale carico Asl». Nel caso della mamma delle sorelle monzesi, sostiene il legale, «è invalida al 100 per cento e per queste persone il ricovero in Rsa convenzionata è totalmente a carico del Servizio Sanitario Regionale».

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