La testimonianza

"Io in curva a Wembley tra la gioia per il trionfo e la paura degli inglesi"

La testimonianza della 27enne agratese Anita Porta che da due anni vive a Londra.

"Io in curva a Wembley tra la gioia per il trionfo e la paura degli inglesi"
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"Ho visto la semifinale e la finale degli Europei a Wembley. Non sono una grande appassionata di calcio, ma quest’anno c’era quel senso di appartenenza di italiani all’estero unito alla prima grande occasione di festeggiamenti all’aperto in era Covid".
A parlare è Anita Porta, 27enne di Agrate, che da oltre due anni vive a Londra lavora nel settore dei mercati energetici. La sua è una testimonianza storica, poiché è stata fra le poche migliaia di tifose e tifosi italiani a poter assistere alla storica vittoria degli Azzurri contro l’Inghilterra in un campionato europeo dove non primeggiavano da 53 anni, alla coppa alzata al cielo dall’Italia ma anche ad alcuni episodi violenti che si sono svolti nella capitale del Regno Unito.

"Io in curva a Wembley tra la gioia per il trionfo e la paura degli inglesi"

Anita racconta innanzitutto di essere riuscita a entrare in possesso dei biglietti per pura fortuna: "La semifinale l’ho vista insieme a un amico che mi ha consegnato il biglietto della sua ragazza, che non è potuta arrivare in Inghilterra per assistere con lui al match. La seconda volta ho invece ottenuto il ticket a 95 euro grazie a un’offerta particolare disponibile sui siti online e continuando a fare il refresh della pagina. Erano rimasti pochissimi biglietti e ci sono andata nuovamente con un amico".

Sul posto, oltre al bel clima, si è però visto anche il lato peggiore della medaglia: "Ho assistito ai tafferugli soprattutto quando sono arrivata al gate per accedere allo stadio. Ero vicino a un ingresso riservato ai disabili, da cui hanno cercato di infilarsi diverse persone senza biglietto. Quando ho raggiunto la soglia per poter entrare c’erano gli agenti della sicurezza che respingevano queste persone in modo anche violento. Eravamo tutti ammassati in uno spazio piuttosto ristretto ed è stato l’unico momento in cui ho avuto un po’ di paura, perché ero da sola. I tifosi inglesi avevano una certa stazza e mi ero preoccupata. Inoltre, sempre in una delle zone all’ingresso dello stadio, si camminava letteralmente su lattine di birra: il pavimento scompariva sotto l’alluminio".

Raccomandazioni

Ad Anita è stato inoltre raccomandato da conoscenti e amici di tutelarsi per l’occasione: "Mi hanno suggerito di limitarmi nei festeggiamenti per pausa di ritorsioni, o di evitare di indossare cose tricolori, specie prima e durante la partita. Appena finita la premiazione mi sono subito defilata e in metropolitana ho beccato solo degli Hooligans che bevevano e si urlavano addosso, ma niente di più".

La gioia per un evento sportivo senza precedenti

La giovane agratese racconta però anche la gioia provata nel partecipare a un momento sportivo del tutto diverso dal solito: "Ero nella curva opposta rispetto a dove hanno tirato i rigori, perciò ho visto il gol di Bonucci da vicino e il saluto dei giocatori al termine dell’incontro. Questo europeo ha dato a noi italiani all’estero l’occasione di riunirci, e ha significato ancora di più il fatto che lo fosse in pandemia e contro il Paese che ospitava la finale, in cui noi viviamo, lavoriamo e studiamo. Un Paese che crede inoltre di aver inventato il calcio, complice la serie Netflix “The English Game”".

Un Europeo con tutto il sapore di una sfida culturale

Tutto questo però ha generato ulteriori attriti tra gli inglesi e gli italiani: "A me non sono accaduti episodi spiacevoli, ma diverse persone mi hanno riferito che specialmente in ambito lavorativo hanno ricevuto commenti di disprezzo, talvolta razzisti. Ciò che come comunità italiana si percepisce è che i londinesi hanno sfruttato la finale persa per creare un’ulteriore occasione in cui trattarci come “quelli che vanno bene a fare cuochi o camerieri” ma nulla di più. E con tutto il rispetto per quei mestieri".
Tirando le somme di tutto, per l’agratese Anita questo Europeo è stato soprattutto «una sfida culturale» vinta dall’Italia, "che non penso sarebbe stato possibile vivere in questo modo con altri sport".

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