La famiglia Perego lancia l’allarme: «In Italia pochi bimbi, posti di lavoro a rischio»
La crisi occupazionale alla Peg approda in Regione grazie ad una audizione chiesta dai sindacati
«Non si fanno più i bambini come una volta e la concorrenza cinese è sempre più spietata con costi di produzione del 50% più bassi dei nostri... ».
ll colosso arcorese dei passeggini e dei prodotti per l’infanzia Peg-Perego trema. Un futuro a tinte fosche soprattutto per i 263 dipendenti del fiore all’occhiello del made in Italy nel campo dei prodotti per l’infanzia.
L’azienda ha comunicato una situazione di grave crisi con 104 esuberi su 263 dipendenti. Tutto a soli 5 mesi dall’esaurimento degli ammortizzatori sociali cui si ricorre continuativamente dal 2018 e, a fasi, da molti più anni.
Giovedì scorso Cecilia Perego, in rappresentanza della proprietà, la famiglia Peg, ha partecipato all’audizione richiesta dalle organizzazioni sindacali presso la IV commissione di Regione Lombardia.
Erano presenti all’incontro, oltre ai componenti della IV commissione, la Provincia di Monza e Brianza, il vice-sindaco Lorenzo Belotti e i consiglieri regionali di maggioranza ed opposizione del territorio, le organizzazioni sindacali (Fiom Cgil Brianza con Adriana Geppert e Fim Cisl Monza Brianza Lecco con Gloriana Fontana), con le Rsu Peg-Perego, l’azienda, appunto, e rappresentanti di Confindustria.
La famiglia Perego lancia l’allarme: «In Italia pochi bimbi, posti di lavoro a rischio»
Proprio durante l’audizione la proprietà ha fatto chiarezza sullo stato dell’azienda.
«In Europa, negli ultimi 15 anni, la natalità è scesa del 17%, in Italia del 36% - ha esordito Perego - I consumatori del nostro settore della prima infanzia sono calati, non si fanno più bambini come una volta. E' ovvio che ci sono paesi emergenti, con natalità elevata, che però non usano necessariamente passeggini. Ci troviamo ad affrontare un calo della natalità e una concorrenza cinese assolutamente incontrollata. In aggiunta è sotto gli occhi di tutti che non ci sono protezioni per le aziende come noi completamente made in Italy. Siamo gli ultimi ad avere questo tipo di produzione in Europa. Purtroppo non c'è protezione doganale, non ci sono dazi che possano salvaguardare i nostri prodotti. L’E-commerce consente ai consumatori di comprare prodotti direttamente dai produttori cinesi di qualsiasi sorta e, purtroppo, a questo fattore si aggiunge anche il fatto che assistiamo ad un fiorire di brand che aumentano la concorrenza. Giusto per farvi capire la situazione ad oggi abbiamo due brand cinesi che detengono il 70% delle quote di mercato. Il restante 30% se lo spartiscono gli altri, tra cui noi. La produzione e vendita in paesi come Usa, Canada e Brasile tiene poiché lì c’è un forte protezionismo garantito dai dazi. Negli Stati Uniti, purtroppo il fallimento del primo cliente del settore prima infanzia (una unica catena con 170 punti vendita, ndr) ha creato shock sul mercato: forte calo nelle vendite e meno risorse da investire in Italia. Come vedete il problema è strutturale e industriale. Sicuramente c'è dell'innovazione nei nostri prodotti. Stiamo cercando di competere con aziende che hanno un costo di produzione del 30, 40 o anche del 50% più basso del nostro. L'azienda si è sempre resa disponibile per trovare soluzioni in accordo con i sindacati e di incentivare una riqualificazione del nostro personale ma c'è anche una difficoltà di ricollocazione interna per via di diversi fattori: in primis quello anagrafico. E' difficile trovare personale disponibile a lavorare su turni o a fare lavori nuovi».
«Abbiamo chiesto a Regione Lombardia, alle forze politiche ed all’azienda la definizione di un piano industriale finalizzato ad un rafforzamento industriale strategico del sito di Arcore, anche attraverso investimenti pubblici a supporto del Made in Italy per l’innovazione di processo e di prodotto da svilupparsi nel sito di Arcore a tutela dei livelli occupazionali», hanno sottolineato le sigle sindacali.
Sono inoltre stati chiesti ulteriori ammortizzatori sociali a sostegno dei lavoratori e dei processi di riqualificazione e transizione industriali che verranno individuati. E poi il punto cruciale: «La scelta di carattere industriale non può essere ancora una volta la produzione in Cina». L’innovazione di prodotto e di processo, secondo i sindacati, devono essere anche per Peg Perego la carta su cui puntare per mantenere e rafforzare lo stabilimento di Arcore.
Significativo, sul punto, anche l’intervento del consigliere Martina Sassoli che ha cercato di scattare una fotografia sulla situazione finanziaria della Peg.
«Analizzando i vostri bilanci si evidenzia un momento di forte crisi patito soprattutto nel 2017, ma una continuità di fatturato e di utili che segna un trend costante - ha sottolineato Sassoli - Nel 2017 avete fatto registrare 116 milioni di euro di fatturato e oltre 4 milioni di euro di utili. Il crollo è avvenuto nel 2018 quando il fatturato è sceso a 80 milioni di euro e l’utile a 500mila euro. A partire dal 2019, però, si registra una continuità di fatturato, che si attesta su 80 milioni di euro e un utile che varia da 1,6 milioni di euro ai 3 milioni registrati nel 2022».
Le istituzioni e le forze politiche hanno invitato l’azienda a proseguire il confronto sul tavolo di concertazione attivato a livello regionale e la Direzione Generale Sviluppo Economico di regione Lombardia incontrerà l’azienda nei prossimi giorni.