Renate

La sete della Bevera

Manca acqua e quindi ossigeno per la fauna ittica: l’allarme lanciato da Comitato Bevere e Caveramezz.

La sete della Bevera
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«Ancora un’altra settimana e migliaia di pesci saranno morti...». Venerdì scorso, all’ora di cena, se lo sono detti con un misto di amarezza e franchezza i volontari del Comitato per la difesa delle Bevere e del Lambro e dei Caveramezz, al termine di un’altra lunga giornata trascorsa cercando di salvare gli esemplari che da giorni boccheggiano nel tratto della Bevera che scorre in paese, da via Sassi, per lo più in secca. Del resto loro, più di così non possono fare. E hanno fatto già davvero tanto.

La sete della Bevera

L’emergenza idrica è sotto gli occhi di tutti: dopo un inverno asciutto, nemmeno una goccia dal cielo (fino a giovedì) e temperature bollenti che portano all’evaporazione della già poca acqua rimasta. Emergenza acuita da «un’eredità gravosa», come l’ha definita Anna Nicolodi, presidente del Comitato, frutto di una malagestione dei corsi d’acqua: interventi di artificializzazione delle sponde (con perdita di habitat per la fauna) e una lunga lista di scarichi. «Basti pensare che nel 2015, rilevando le criticità ambientali da Barzanò al Lambro, si sono contati una quindicina di scarichi solo nel territorio di Renate». Risultato: una quantità d’ossigeno insufficiente per i pesci, in particolare cavedani e vaironi, che si concentrano nelle poche pozze ancora umide. Almeno quelli rimasti, al netto degli esemplari morti rimossi dai volontari per evitare la contaminazione del torrente.

Caveramezz e Comitato Bevere hanno suonato la sveglia agli enti competenti, coinvolgendo anche il Comune con l’assessore all’Ambiente Mario Molteni, l’ufficio Tecnico e la Polizia locale.
«Ho inviato mail all’ufficio Caccia e Pesca di Regione Lombardia, all’Ufficio Territoriale Regionale della provincia ed alla Polizia provinciale, segnalando la drammatica emergenza ittica», ha detto Nicolodi, non nascondendo le difficoltà incontrate nella ricerca di un interlocutore.

Non solo: mercoledì scorso hanno versato mille litri di acqua di sorgente ossigenata nell’alveo, grazie alla disponibilità di uno dei soci del comitato, Adelino Trambaiollo, che li ha generosamente offerti attingendo da un pozzo di sua proprietà, trasportandoli e immettendoli nel torrente personalmente da una cisterna caricata sul trattore. Lo stesso hanno fatto venerdì scorso. Un gesto simbolico, «una goccia in mezzo all’oceano», ma capace comunque di dare un momentaneo sollievo ai pesci. Adulti questi ultimi, ma anche giovani, gli avannotti.

Serve l'intervento di esperti

«Ciò che serve è l’intervento di esperti», ha sottolineato la presidente. Si, perché il Comitato per la difesa delle Bevere, nonostante possa contare su professionisti riconosciuti in vari settori, non può agire da solo. Trasferiamo la fauna da una pozza all’altra, verrebbe da suggerire. Sbagliato, servirebbe infatti a poco. Anzi, potrebbe rivelarsi dannoso in quanto «se immettiamo dei pesci in luoghi dove ci sono già, aumentiamo le difficoltà di sopravvivenza di tutti, vecchi e trasportati». «La possibile soluzione è attuabile solo dagli enti regionali attrezzati allo scopo: disporre di vasche di stabulazione, controllata e con alimentazione adeguata a tenere in vita i pesci fino al termine dell’emergenza», ha chiarito Nicolodi.

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