La Strage di Capaci nelle parole di chi è sopravvissuto: "Quel giorno sono morto anche io"
Grande commozione a Lesmo per il racconto di Angelo Corbo, agente della scorsa di Giovanni Falcone, che ha ricordato il dramma vissuto quel maledetto 23 maggio del 1992
La Strage di Capaci raccontata da chi l’ha vissuta in prima persona, l’ha sentita sulla propria pelle e ha avuto paura di non riaprire più gli occhi. A raccontare cosa accadde in quella tragica giornata del 23 maggio 1992 è stato Angelo Corbo, agente di scorta di Giovanni Falcone, invitato giovedì a Lesmo dal Comune e dall'associazione antimafia Agende Rosse.
Il racconto di Angelo Corbo
Relatori della serata Patrizia Teoldi, membro dell’associazione e il sindaco Francesco Montorio. Corbo, nacque il 3 luglio del 1965 a Palermo nel quartiere Noce:
"Magari qualcuno l’ha già sentito questo posto – ha iniziato con la voce tremante e agitata dall’emozione – Qui da latitante vi ha vissuto Totò Riina, boss e organizzatore dell’attentato in cui fui coinvolto anche io. Sicuramente non era un posto sicuro per un bambino e in quel periodo storico non ne parliamo. Mia mamma e mio papà erano sempre preoccupati. E avevano ragione ad esserlo, così il mio unico amico era il muro di camera mia perché non avevo nessun altro".
L'incontro con Falcone
Già giovanissimo iniziò ad intraprendere la carriera da poliziotto e a soli 23 anni venne assegnato come agente di scorta a Giovanni Falcone:
"Per me è stato un onore quell’incarico. Si sapeva che uomo fosse, che magistrato fosse e cosa stava combattendo in quel periodo. Anzi cosa stavamo combattendo tutti".
La scelta di combattere l’illegalità è nata fin da subito in Corbo, cresciuto in un quartiere per metà malavitoso e segnato da bambino dalla morte di un suo amico d’infanzia a causa della mafia.
La Strage di Capaci
Era una giornata bellissima a Palermo e gli agenti di scorta insieme a Falcone e la moglie Francesca Morvillo stavano guidando dall’aeroporto per raggiungere Capaci:
"Quel giorno decise di guidare il magistrato, perché la moglie soffriva di mal d’auto e ogni volta che c’era lei, lui guidava – ha spiegato con gli occhi lucidi dal ricordo ancora nitido – Io non ero in macchina con loro, ma da quella dietro vidi che iniziarono a rallentare parecchio. Poi un forte boato, la macchina sbalzò in alto e ricadde a terra, eravamo feriti, sanguinanti. Scendemmo dalla macchina, mi sentivo in un mondo a parte, una realtà che non era realtà. Ma l’obbiettivo era uno: Falcone e se non fosse morto si sarebbero accertati che lo fosse. Andammo verso la sua auto per proteggerlo ed era ancora vivo, ricordo ancora i suoi occhi, disperati, che cercavano aiuto da chi non poteva più darglielo. Quel giorno morirono gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo e Giovanni Falcone con la moglie Morvillo. Ma anche io sono morto e non sono mai più stato lo stesso".