Carate Brianza

L’ex prof del «Da Vinci» in missione con la famiglia: «Cercavamo un’esperienza che ci educasse al dono»

La scelta di vita di marito e moglie partiti lo scorso 18 marzo per il sud del Brasile

L’ex prof del «Da Vinci» in missione con la famiglia: «Cercavamo un’esperienza che ci educasse al dono»
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«Il nostro è un progetto di missione: vogliamo essere testimonianza del Vangelo in una determinata realtà».
Parla sempre in maniera calma, ma anche nella sua pacatezza si riconosce che in Giovanni Nassi, 35 anni, di Besana e ormai ex professore di italiano e storia all’Istituto superiore «Leonardo Da Vinci» di Carate Brianza, c’è lo spirito attivo dei missionari. Con la moglie Micol Riva ha lasciato il proprio paese un lavoro sicuro, affetti, famiglie, per portare i propri figli Elia (3 anni) e Adele (16 mesi) nel Paranà, nel sud agricolo del Brasile a lavorare nelle varie attività della missione.

L’ex prof del «Da Vinci» in missione con la famiglia

«È una zona agricola – riprende – non una zona di favele come San Paolo, ma si vede il divario sociale: c’è gente che sta molto bene e gente che sta molto male».

Il 18 marzo la famiglia brianzola è partita da Malpensa con direzione San Paolo, poi, malgrado una coincidenza persa, è arrivata a Ibipora, una cittadina di circa 50mila abitanti con grande vocazione agricola. Una cittadina normale, con scuole ospedali e tutti i servizi necessari, ma in cui c’è comunque tanto da fare.

«Siamo stati accolti da padre Natale Brambilla e collaboriamo con due realtà. In primis un istituto di recupero per tossicodipendenti e poi nella casa di accoglienza dei missionari anziani del Pime, che funziona anche da centro giovanile».

Il Pontificio istituto missioni estere ha una sua sezione per i laici, l’Alp, che sono però solo dieci in tutto il mondo: due di questi sono proprio Giovanni e Micol, che hanno dato a loro disponibilità a partire e sono stati accolti, appunto, da padre Brambilla del Pime.
Sono riusciti a finanziarsi un progetto a cui chiunque può ancora partecipare a partire dal portale del Pime e indicando in particolare il codice K851.  Il loro primo lavoro è alla Fazenda de Esperança, un istituto di recupero per tossicodipendenti che, a Ibipora, sono tutte donne, con una storia di relazioni famigliari molto difficili alle spalle, quando non di prostituzione.
«La fazenda propone un percorso di preghiera, lavoro e convivenza – spiega Nassi – per il momento aiutiamo in piccole cose: accompagnamento, ritiro di cibo, ma avere solo me, mia moglie, i nostri figli, insomma, una famiglia come esempio di vita le aiuta».

"C’è un’empatia molto significativa"

Come in tutto il Brasile meridionale, tanti italiani si sono stabiliti nel Paranà nel corso del secolo scorso: «Mi hanno già chiesto di aprire un corso di italiano» dice Giovanni, segno di un’accoglienza che si è dimostrata da subito molto aperta.

«C’è una comunità cristiana molto presente – riprende – sono molto legati a questo movimento dei Focolarini e una famiglia benestante ci ha concesso di abitare gratuitamente in un loro appartamento. Poi avevamo bisogno di un frigorifero ed è arrivato, avevamo bisogno di una lavatrice ed è arrivata. I bambini in particolare ci aprono molte porte: tutti hanno figli e c’è un’empatia molto significativa che passa attraverso di loro. Adele è molto piccola, mentre Elia all’asilo inizia ad ambientarsi e mi sembrano entrambi sereni».

È un’esperienza forte che terrà lontano dalla propria casa e dal proprio paese questa famiglia per almeno 3 anni. Loro sono partiti con un progetto preciso e con un finanziamento, ma il vero significato non può che essere un altro:

«Volevamo fare un’esperienza che ci educasse al dono, a donare e che potesse nutrire il nostro matrimonio. Un qualcosa che ci alimentasse come coppia e come famiglia. Del resto siamo qui per apprendere, più che per insegnare».

Non fa in tempo quasi a concludere la frase, che a Giovanni arriva una telefonata: è la moglie Micol e c’è stato un problema di comunicazione fra i due. Meglio chiudere subito la video chiamata «e cercare di non perdere il matrimonio», conclude prima di salutarci con una battuta.

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