Besana

L’incidente, l’invalidità, la disperazione: "Anche noi siamo finiti nella rete dei santoni”

Come vivono i caregiver? La testimonianza dopo l'arresto del besanese per maltrattamenti sul figlio con problemi psichici

L’incidente, l’invalidità, la disperazione: "Anche noi siamo finiti nella rete dei santoni”
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«Dopo l’incidente siamo stati avvicinati da persone che definisco poco etiche per non dire di peggio. Ci dicevano che quanto successo era il frutto dell’invidia nutrita nei nostri confronti, del malocchio... Siamo persone razionali e in una situazione normale non avremmo dato loro il minimo credito. Ma quando sei disperato ti aggrappi a tutto. Mi ripetevo: e se funzionasse davvero, come posso negare una possibilità a mio marito? Così abbiamo provato a raggiungerle a Montichiari, di sera perché non dovevamo riconoscere il luogo dove si svolgevano i rituali... Naturalmente erano sciocchezze ma in quel momento ci siamo cascati».
Sabrina Schillaci, che ringraziamo fin da subito, si dimostra come sempre persona generosa. Architetto, atleta e coach professionista di Vergo Zoccorino, frazione di Besana, ha accettato di aiutarci a intraprendere un viaggio alla scoperta del mondo dei caregiver: un «esercito» poco se non per nulla considerato di uomini e soprattutto donne che quotidianamente si prende cura, in maniera totalizzante e continuativa, di un congiunto non autosufficiente a causa di una disabilità, fisica o mentale. Come lei. La sua storia è nota: suo marito Davide dal 2007 è costretto su una sedia a rotelle a causa di un incidente al lago.

La sofferenza dei caregiver

L’abbiamo contattata perché quanto raccontato su queste colonne la scorsa settimana non ci ha lasciato indifferenti. E come noi, tanti besanesi: la vicenda del padre 68enne arrestato per maltrattamenti nei confronti del figlio 39enne con gravi problemi di salute mentale. Padre che dopo due decadi di battaglia contro la malattia, nella ricerca disperata della guarigione aveva deciso di accantonare la medicina per affidarsi al soprannaturale. «Mio figlio non è malato, è posseduto da un demone», è arrivato a dire ai Carabinieri.

«I caregiver hanno bisogno di certezze, di conferme che non arrivano né dagli istituti di cura, né dalle istituzioni - ha spiegato Sabrina - Io sono stata fortunata perché Davide è entrato nell’Unità spinale che ci ha garantito almeno un supporto fisico, non però emozionale e psichico, altrettanto necessario: nessuno è preparato a sopportare il peso di un macigno che cade improvvisamente in testa. Con mio papà, affetto da demenza senile, è andata anche peggio: una trafila estenuante per ottenere le dimissioni protette dall’ospedale, l’indennità di accompagnamento concessa quando era ormai morto. Mia mamma 78enne ha sostenuto con difficoltà la pressione».

"Esercito" inascoltato

Quando ci si prende cura di un famigliare malato, il turbinio di emozioni è incessante. C’è l’apprensione per la persona amata che sta male, la vergogna per atteggiamenti che, soprattutto in caso di patologie mentali, sono socialmente indesiderati.

«Tendi così ad isolarlo e a isolarti a tua volta. E la situazione peggiora...».

E poi il senso di colpa, acuito dalla gente: ma come, va dal parrucchiere con il marito malato? Esce nonostante il figlio non stia bene?

«Non si capisce che solo se si sta bene si può fare stare bene anche la persona della quale ci si occupa».

Sabrina da tempo porta avanti in prima persona una campagna per far finalmente riconoscere il ruolo dei caregiver, animata dalla forza faticosamente riconquistata giorno dopo giorno grazie soprattutto allo sport.

«Purtroppo ho capito che dalle istituzioni arrivano solo promesse. Poi c’è sempre qualcosa che viene prima. Inoltre esistono numerose realtà sociali che si occupano del tema senza una voce unica: troppe richieste, sempre inascoltate».

Di stare con le mani in mano non ci pensa proprio e allora agisce in prima persona. Nonostante l’ultimo «stop» forzato dovuto a un problema all’anca («Ho rinunciato all’intervento perché non posso permettermi di stare tre mesi ferma, chi si sarebbe occupato di Davide?»). Organizza, ad esempio, corsi gratuiti per i caregiver affinché acquisiscano consapevolezza e abbiano la possibilità di condividere soluzioni e frustrazioni. Collabora con aziende private per implementare le politiche interne di welfare. Senza dimenticare di continuare a bussare ai «piani alti» perché la politica deve dare risposte.

«Bisogna partire da un censimento che in Lombardia manca: quanti caregiver ci sono, che tipo di impegno hanno, che tipologia di malato seguono? Solo così è possibile definire un pacchetto di aiuti che risponda alle esigenze reali. Non contributi, come quelli previsti attualmente, destinati solo a persone in situazioni di estrema povertà - ha concluso - Sono necessari sostegni economici e pensioni perché l’assistenza porta spesso alla perdita del lavoro, supporto emotivo. Come ripeto spesso, mutuando le parole di una ricercatrice, al mondo ci sono quattro categorie: chi è caregiver, chi lo è stato, chi lo sarà e chi ne avrà bisogno».

Condividete la vostra storia

Per chi, come Sabrina, avrà voglia di condividere la sua storia, anche in forma anonima, il nostro settimanale resterà sempre aperto. Perché parlare fa bene, a chi lo fa, a chi sta vivendo una situazione analoga e a chi dovrebbe prendersene carico. E’ possibile contattare la nostra redazione al telefonico 0362-908921 o inviare una mail all’indirizzo di posta elettronica redazione@giornaledicarate.it.

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