La storia

"Quando Vittorio Emanuele di Savoia mi chiese di portare i suoi saluti all'Italia"

Luca Domenico Alecci, di Camparada, è membro della Guardia d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon; il suo racconto dell'incontro con l'erede della casata reale

"Quando Vittorio Emanuele di Savoia mi chiese di portare i suoi saluti all'Italia"
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Piove a Torino. Piove sulla folla che si è radunata dentro e fuori la basilica per dare l’estremo saluto a Vittorio Emanuele di Savoia, capo dell’omonima casata reale, scomparso proprio la scorsa settimana. Tra i presenti c’è anche un brianzolo di Camparada. Si chiama Luca Domenico Alecci, ha 32 anni, di professione amministratore di condominio e grande appassionato di storia.

Un camparadese alla "corte" di Vittorio Emanuele di Savoia

Non è lì per caso. Dalla scorsa estate è infatti membro ufficiale della Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon di Roma, dove sono oggi custodite le spoglie mortali dei primi due re d’Italia: Vittorio Emanuele II e Umberto I. Un’onorificenza che il giovane ha ricevuto proprio grazie a quella passione che ha sempre coltivato sin da bambino.

"Mi sono sempre interessato alla numismatica e in particolare alla figura di Vittorio Emanuele III, che è stato il proprietario della più grande collezione di monete italiane al mondo, composta da qualcosa come 110mila pezzi di età medievale e moderna - racconta il diretto interessato - Collezione che l’allora sovrano donò al popolo italiano subito prima di partire per l’esilio, nel maggio del 1946, dopo aver scritto una lettera al Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, in cui esprimeva tale volontà. Approfondendo questo particolare settore ho avuto la possibilità di conoscere molti altri appassionati di storia e uomini di grande cultura, civili, ecclesiastici e militari, che mi hanno successivamente proposto di entrare a far parte della Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon. Invito che ho accettato di buon grado e, ovviamente, con enorme soddisfazione. L’ho fatto per amore della storia innanzitutto, e per la stima che nutro nei confronti del "Re numismatico", la quale biografia meriterebbe una profonda e non faziosa rivalutazione".

"Porti i miei saluti all'Italia"

L’istituto, sorto nel 1878 per prestare il servizio di guardia alle tombe dei re d'Italia, è oggi un ente morale affidato direttamente alla vigilanza del Ministero della Difesa ed è considerata la più antica associazione combattentistica e d'arma esistente in Italia. E proprio durante un evento in cui era invitato in rappresentanza di essa, Luca Domenico ha l’occasione d'incontrare personalmente Vittorio Emanuele a Ginevra, dove la famiglia Savoia ha preso residenza.

"Rimase particolarmente colpito nel sentire che parlavo italiano, perché in quella circostanza gli ospiti erano per la gran parte svizzeri, francesi o comunque stranieri - ricorda il camparadese - Si interessò molto a quello che gli raccontai. E’ stato di un garbo veramente principesco. Poi con entrambe le mani strinse la mia e con commozione mi chiese di portare i suoi saluti all’Italia e a quanti più italiani potessi. In quel frangente lessi la sua triste consapevolezza di non poterlo fare personalmente per via delle sue condizioni di salute: era certo che non sarebbe riuscito a rivedere il nostro Paese. E così, come terribile presagio, è stato. Fu un momento intenso che sicuramente ricorderò per il resto dei miei giorni. In quell’istante ho capito quanto Vittorio Emanuele abbia sempre avuto a cuore l’Italia e come, al pari della sua famiglia, abbia sempre sofferto per l’esilio inflitto ai Savoia dopo la fine della guerra".

Un'esperienza indelebile

Un’esperienza che per il camparadese resterà indelebile. Così com’è stata la figura di Vittorio Emanuele per la storia.

"Ho avuto il piacere di mangiare alla tavola d'un vero principe, di un uomo che la Storia l'ha vissuta sulla sua pelle, di un uomo che aveva per padre uno dei re più galantuomini mai esistiti, e per nonno uno dei più grandi sovrani che questo paese abbia mai potuto vantare - aggiunge - Lui c'era quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, c'era quando cadde la dittatura fascista, c'era quando Roma fu dichiarata città aperta, c'era quando suo nonno abdicò e suo padre divenne re per trentasei giorni. Era pura Storia. Una Storia che nessuno ha mai voluto traslitterare con serietà. L'Italia aveva una biblioteca parlante, unica nel suo genere, ed ha lasciato che la morte, come fa il fuoco con la carta, cancellasse tutto per sempre, con ignobile negligenza".

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