L'intervista

Riforma della Giustizia e separazione delle carriere: intervista all’avvocato Antonino Crea

Il fondatore di SLC Milan Law Firm analizza le sfide della riforma e il delicato equilibrio tra politica e magistratura

Riforma della Giustizia e separazione delle carriere: intervista all’avvocato Antonino Crea
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E’ partner di uno degli studi legali lombardi più in voga, l’SLC Milan Law Firm, con sedi a Milano, Lecco e Osnago, che da oltre quindici anni offre assistenza giudiziale e stragiudiziale. L’avvocato Antonino Crea è stato il promotore principale di questa importante realtà professionale che vede la presenza di numerosi giovani professionisti specializzati nei diversi settori del diritto. E a lui ci siamo rivolti per fare il punto sui temi più attuali della riforma della Giustizia che stenta a decollare.

Il ministro Carlo Nordio sta facendo molta fatica a portare in porto la riforma della Giustizia. Perchè? Qual è la posizione degli avvocati?

"La difficoltà maggiore è che si è perso di vista il focus della riforma, ritenendo che la brusca accelerata all’iter sia la risposta della politica ad alcune sentenze della magistratura “politicizzate”. Tutto è stato ridotto a uno scontro tra politica e magistratura in cui essere favorevole alla riforma vuol dire schierarsi con la politica e viceversa essere contrari implica “stare dalla parte” dei giudici. La giunta esecutiva dell’Associazione Nazionale Magistrati ha definito la Riforma “una sconfitta per la giustizia” sostenendo che “la logica di fondo del disegno di legge si rintraccia in una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria”. Gli avvocati esprimono soddisfazione per la riforma, ritenendola la massima realizzazione del giusto processo. AIGA ritiene questa scelta “coerente con la finalità di garantire la pienezza del contraddittorio e l’equidistanza delle parti, nonchè la terzietà del giudice”.

Poi offre concreta attuazione alle previsioni di cui all’art. 111 della Costituzione che, ai primi due commi, stabilisce, espressamente che “… La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge … Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata…”. E’ proprio questo il punto nodale: noi avvocati ci sentiamo in dovere, garantendo il diritto di difesa dei nostri assistiti, di dare concretezza al richiamato postulato costituzionale. La riforma della giustizia proposta dal ministro Nordio – che è un ex magistrato – coglie nel segno perché traccia una netta cesura tra la componente requirente e quella giudicante della Magistratura che oggi appartengono entrambe al medesimo Organo giurisdizionale."

L’inaugurazione dell’anno giudiziario è stata caratterizzata dalla protesta delle toghe che sono uscite dall’aula in segno di protesta. Come giudica questa scelta?

"È stato un gesto dimostrativo molto forte che ha esacerbato gli animi e non ha aiutato a stemperare una tensione palpabile. Nel nostro Paese, ogniqualvolta si è cercato di riformare l’Ordinamento giudiziario, sono sorti enormi contrasti politici. E’ dall’epoca della “stagione di Mani Pulite” che lo scontro muscolare tra la Politica, o una parte di essa, e la Magistratura assume forme di parte. Il messaggio dato ai cittadini, come in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Napoli, dove il Ministro Nordio si è trovato a parlare quasi da solo nell’aula dei busti di Castel Capuano, mentre tutti i Magistrati, in segno di protesta, abbandonavano l’aula della conferenza, è stato negativo; sono state privilegiate le esigenze di parte, dimenticandosi che gli interessi di “appartenenza” devono necessariamente retroagire dinanzi a quelli preminenti dei cittadini".

L’aspetto che maggiormente divide è la separazione delle carriere tra giudici e PM. Lei è favorevole o contrario?

"Assolutamente favorevole. Faccio mia la posizione del Collega Grieco, presidente del CNF il quale ha chiaramente evidenziato come ad oggi nel sistema penale esiste uno squilibrio tra difesa e accusa, con uno sproporzionato vantaggio a favore della seconda. Solo il ripristino di tale equilibrio consentirà di realizzare la garanzia costituzionalmente prevista dell’equo processo previsto dal richiamato art. 111 della Costituzione".

I rapporti tra politica e magistratura sono sempre stati abbastanza difficili. E questo Governo non sfugge alla regola, anche per alcuni casi che coinvolgono autorevoli esponenti della maggioranza come il ministro Daniela Santanchè e il Sottosegretario Andrea Delmastro. Perché? E secondo lei Santanchè e Delmastro farebbero bene a dimettersi?

"Il potere esecutivo e quello giurisdizionale storicamente entrano in una fase di conflitto, soprattutto, quando a venire meno sono i contrappesi costituzionali. I padri costituenti avvertirono l’esigenza di garantire e tutelare i diritti fondamentali dei cittadini, optando per una tripartizione dei poteri che non consentisse di minare l’architrave democratico dello Stato. Mentre il potere esecutivo e legislativo è diretta emanazione delle scelte politiche ed elettorali dei cittadini, quello giudiziario, è sciolto, o meglio indipendente. Al fine di garantire l’equilibrio dei poteri, i costituenti, che erano fini politici, adottarono il sistema dell’immunità parlamentare di cui all’art. 68 della Costituzione che prevedeva un regime autorizzatorio, in ambito di sottoposizione a procedimento penale, molto rigido per i parlamentari.

Questo sistema resse le sorti della Prima Repubblica fino a Tangentopoli, dove poi, fu modificato anche in ragione dei referendum abrogativi del 1993. L’equilibrio del potere esecutivo e di quello giudiziario, che dovrebbero essere tra loro autonomi, è assai delicato e labile. Difficile da entrambe le parti mantenere in ogni circostanza posizioni super partes e distaccate. Sia la magistratura sia la politica è fatta di uomini con i loro convincimenti. Quindi può succedere, soprattutto in casi mediaticamente esposti, che l’interpretazione possa “accendere gli animi”. In un sistema garantista come il nostro dove tutti sono innocenti fino a prova contraria e, dunque, fino all’emissione di una sentenza definitiva di condanna, l’indagato/imputato innocente deve poter difendersi in ogni sede mantenendo la propria posizione, anche pubblica.

Quindi, venendo a rispondere alla sua domanda, sono assolutamente contrario al gioco politico che vuole che un parlamentare, un ministro o un sottosegretario debba dimettersi prima che sia pronunciata sentenza definitiva di condanna. E’ qui che, soprattutto la politica, deve crescere evitando di strumentalizzare un primario interesse del cittadino, qual è la Giustizia, in un mero vortice vizioso che vuole condannati prima che si sia dichiarati tale in via definitiva. Per quanto mi riguarda Santanchè e Delmastro stiano al loro posto e si occupino degli interessi del Paese e dei suoi cittadini".

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