Scoppia il caso "Squid Game": i bambini lo imitano a scuola
A Muggiò alla «Casati» i docenti hanno sensibilizzato i genitori dopo che alcuni studenti di seconda lo avevano raccontato ai compagni.
E’ la serie più vista di sempre su Netflix ed è il fenomeno del momento: con 132 milioni di spettatori in tutto il mondo nei primi 25 giorni di messa in onda, il prodotto sudcoreano ha battuto ogni record. Ma la serie "Squid Game" è senza dubbio violenta e assolutamente non adatta ai minori (e infatti è vietata fino almeno ai 14 anni, con siti che consigliano comunque di aspettare i 18 compiuti prima di mostrarla). E il problema delle aspre critiche che sta sollevando assieme ai commenti entusiastici di chi l’ha vista e apprezzata sta proprio qui. E’ ormai dimostrato che ci sono tantissimi bambini che l’hanno vista (spesso addirittura coi genitori) anche se molto piccoli e - ovviamente - incapaci di gestirne le conseguenze emotive.
Scoppia il caso "Squid Game": i bambini lo imitano a scuola
E il fenomeno non è affatto lontano dal nostro territorio. Anzi. Proprio la scorsa settimana il caso è esploso in una scuola primaria di Muggiò, la "Casati". In una seconda alcuni bambini hanno ammesso di aver visto la serie, hanno raccontato la trama ai compagni e hanno anche replicato il gioco (ma non in contesto scolastico). Si tratta di un fatto molto grave dal momento che in "Squid Game" chi perde a giochi per bambini come «Un, due tre stella» finisce letteralmente ucciso (e con molto spargimento di sangue). Da qui è nata la preoccupazione di alcuni genitori che hanno immediatamente avvertito gli insegnanti. Alcuni bambini sono poi tornati a casa piangendo, completamente scioccati dal racconto dei compagni, altri hanno faticato a dormire la notte. Qualcuno, fortunatamente, non ha capito molto di quello che era stato raccontato.
La scuola ha chiesto ai docenti di sensibilizzare i genitori
La scuola però non è rimasta indifferente, anzi. Ha messo in campo ogni strategia per vigilare che «Squid Game» restasse fuori dalla vita dei bambini. In questo senso il dirigente scolastico del comprensivo Casati di Muggiò assieme alla vicepreside ha scelto una presa di posizione forte, chiedendo ai docenti di sensibilizzare i genitori, ricordando loro che si tratta di una serie assolutamente non adatta a un pubblico di minori.
E di "Squid Game" si è parlato anche nelle assemblee di classe che si sono tenute giovedì della scorsa settimana. Un atto doveroso, insomma, per preservare i più piccoli chiedendo agli adulti di vigilare. Perché non basta la supervisione degli insegnanti durante l’orario scolastico se poi a casa la serie viene addirittura mostrata dai genitori.
Eppure il fenomeno non è isolato, purtroppo. In tutta Italia (ma sarebbe meglio dire in tutto il mondo trattandosi di un successo mondiale e virale) docenti e pedagogisti hanno lanciato l’allarme sul fatto che i bambini che nell’intervallo delle lezioni giocano a «1, 2, 3 Stella» come succede nella serie tv e che imitano gli spari e quindi l’eliminazione fisica di chi perde. O addirittura scattano schiaffi e percosse a chi perde al gioco.
Perché la trama, per chi non la conoscesse, è incentrata su un gruppo di persone con difficoltà economiche disposte a tutto, anche giocare a un torneo basato su giochi d’infanzia come le biglie o il tiro alla fune: a manovrarlo è un club di super ricchi (quelli con le tute rosse e maschere nere a coprire il viso). In palio ci sono 45,6 miliardi di won (la moneta nazionale sudcoreana pari a quasi 33 milioni di euro), ma per chi perde l’eliminazione è fisica (la morte, in modo violento e sanguinoso). Lo «squid game» del titolo è il gioco del calamaro molto diffuso il Corea.
La serie, in nove puntate, non è stata tradotta in italiano (ed è quindi sottotitolata), lo è invece in inglese e in spagnolo. Eppure questo non ha fermato il suo successo. E pensare che all’inizio il suo creatore, Hwang Dong-hyuk, si è visto rifiutato per 10 anni da diversi studi che hanno ritenuto la trama troppo cruenta, grottesca e irrealistica.
Servono vigilanza, sensibilizzazione e formazione
Vigilanza, sensibilizzazione, ma soprattutto formazione. Sono questi gli ingredienti secondo il dirigente scolastico del comprensivo «Casati» di Muggiò Michele Quagliarini per fronteggiare il caso "Squid Game" ma non solo.
"Questo è solo l’ultimo fenomeno in ordine temporale, ma tra poco sarà già superato e staremo parlando di qualcos’altro, prima abbiamo avuto le black-out challenge e dopo questo ci sarà qualcos’altro, anche per questo è necessaria una formazione continua, del personale scolastico, ma anche dei genitori solo che quando abbiamo proposto a mamme e papà di partecipare a dei corsi sull’uso consapevole dei social non c’è stata grande risposta... peccato, si è persa un’occasione".
Quagliarini comunque non è uno che si arrende né che prende sottobraccio certe questioni. Anzi. "Le insegnanti dopo la segnalazione di un genitore sul fatto che alcuni bambini di sette anni avevano visto Squid Game e lo avevano raccontato ai coetanei hanno fatto subito delle verifiche. E’ emerso che il problema c’era. Per questo è stato chiesto ai genitori di vigilare". Il caso è stato anche affrontato nella serata di giovedì scorso durante le assemblee di classe.
L'appello del dirigente
Da qui l’appello del dirigente. "La responsabilità parentale sta venendo meno. Io richiamo alla genitorialità. Nelle classi c’è allerta, le insegnanti sanno che dovranno controllare che nei giochi a scuola non venga replicata la serie, finora non è successo all’interno dei luoghi scolastici, ma l’attenzione è alta - ha aggiunto Quagliarini - Parliamo di bambini di 7 anni, ho visto alcune scene pur non avendo Netflix perché su You tube c’è tutto e non è un contenuto assolutamente adatto, eppure è stato diffuso tra i minori. Il problema qui però sta alla base. Ci sono bambini che navigano tranquillamente e i genitori hanno confessato di non avere la password per entrare nello smartphone del figlio. Ma il controllo è fondamentale, eppure ho visto bambini chattare di notte nel WhtaspApp di classe".
Ma è sui pericoli della rete e sul corretto uso dei dispositivi il punto su cui ruota tutto. "Non si può dare libero accesso, non c’è solo Squid Game, ma anche giochi online pericolosi in cui in rete i bimbi giocano con sconosciuti - ha aggiunto il preside - Noi adulti dobbiamo continuare a studiare per stare un passo avanti sempre. Noi facciamo parte della rete “Ali per l’infanzia”, con 80 scuole della provincia ci appoggiamo a un’avvocata criminologa che si occupa di diritti dell’infanzia e ci fa puntuali corsi di formazione su queste tematiche. C’è già un calendario per i docenti. Ma ci piacerebbe che all’appello rispondessero anche i genitori".
Il sociologo Crepet avverte: "Istituti e genitori, tutti devono fare la loro parte"
Hanno un ruolo i genitori e ne ha uno la scuola e nessuno deve abdicare al suo compito perché in gioco c’è il futuro dei giovani e quello della società.
Sta qui il punto focale di tutto per Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore, saggista e opinionista italiano che abbiamo contattato per un commento sul fenomeno "Squid Game" e sul caso specifico della scuola "Casati" di Muggiò.
Cosa ne pensa di quello che sta succedendo?
"Dobbiamo vigilare a prescindere e non solo per questa serie, si tende ad anticipare ogni tappa e a 14 anni consideriamo un ragazzino già maturo, ma lo è davvero? Si anticipa troppo tutto e poi si fa finta che tutto questo non ci sia. E poi arriva la grande balla da osteria: “Non abbiamo tempo”, dicono i genitori, ma trovano il momento di andare a giocare a padel", è la provocazione di Crepet, che poi incalza: "Forse più che il tempo manca la voglia di dedicarsi a queste cose e ci si allarma solo nel momento in cui arriva una serie e tutti si allarmano".
E quindi hanno ragione quelli che vorrebbero censurarla?
"Guardi vent’anni fa feci la perizia per la Procura di Torino per un videogioco violento che andava per la maggiore all’epoca ma ci siamo accorti che se avessimo fatto causa avremmo fatto la fortuna di quel gioco. Le cose non sono cambiate. Oggi c’è questo fenomeno coreano, domani sarà da qualcos’altro. Ci sarà sempre qualcuno che si inventerà qualcosa per fare soldi. Ma bisogna partire da due presupposti: uno è che la censura è impossibile e l’altro che questo tipo di tecnologia non ha alcuna etica. Il lupo ci sarà sempre, insomma, ma le pecore vanno tenute al sicuro".
E allora cosa si può fare?
"Di sicuro la scuola non può fare la Svizzera quando accadono certi fatti, i fondi per l’istruzione devono essere impiegati bene, perché a scuola i bambini stanno dalle 8.30 alle 16.30 e quel tempo è un’opportunità per proporre molto, non certo per far finta che il digitale non esista. Si potrebbe invece educare i bambini all’uso dei dispositivi partendo dal presupposto che vietare e rendere segreto qualcosa non farà che renderlo più attrattivo. Così sì che la scuola può aiutare la mamma operaia che lavora tutto il giorno, perché non c’è solo il genitore che gioca a padel. Allora la scuola potrebbe interrogare i bambini, entrare nel merito dell’uso dei dispositivi, educando al digitale, chiamando esperti che trattino questi temi che fanno parte del quotidiano. Ognuno ha i suoi orari e le sue responsabilità e dalle 8.30 alle 16.30 è della scuola".
Altrimenti cosa succederà?
"Intanto le posso dire quello che già accade. E cioè che ci sono bambini-ragazzini che aspettano che i genitori siano andati a letto per prendere cellulari e tablet e navigare, chattare, giocare online. E questo è pericolosissimo. Poi usciamo dall’ipocrisia di pensare di poter chiedere all’azienda tal dei tali di bloccare contenuti o censurare quelli violenti. Siamo noi a dover prendere le contromisure e la prima regola per i genitori è regolamentare l’uso dei cellulari. Ai miei tempi i genitori ci davano un tempo per poter vedere la televisione e poi si andava dritti a letto e non c’erano se e ma. Erano intelligenti loro a fare così. Si dovrebbe fare lo stesso con il tablet. Quando si va a letto i dispositivi vanno tutti sottochiave e ci si ripensa alla mattina".
Insomma, regole più ferree in casa?
"Se non ci si impone quando i figli hanno 10-12 anni e si perdono quelle battaglie, quando ne hanno 16 anni ormai si è persa anche la guerra. Ma attenzione che non c’entra il lavoro, il ceto sociale, non ci sono scuse, puoi anche giocare a padel, ma devi tenere il timore fermo come facevano i nostri genitori. Non arrendiamoci, non può vincere un coreano sulla vita dei nostri figli. C’è in gioco il futuro del nostro paese".
"Ha spunti interessanti e non va censurata, ma assolutamente non va mostrata ai bambini"
Sono due voci un po’ fuori dal coro quelle della monzese Valentina Nuccio, insegnante, scrittrice e mamma e di Alessandro Raffaele, chirurgo pediatrico muggiorese, padre di due figlie. Loro sostengono il pensiero di quanti non farebbero mai vedere - ovviamente - "Squid Game" ai propri figli, ma non per questo sono a favore di una forma di censura e per un motivo molto semplice.
"Noi l’abbiamo guardato, non è peggio di tante altre serie, uno può scegliere di non vederla e soprattutto vietare ai figli di vederla. Come ogni strumento, va usato con cautela e sta al genitore controllare e vigilare affinché serie come questa non arrivi il proprio figlio", spiegano entrambi. Valentina insegna in una scuola elementare, Alessandro visita bambini tutti i giorni, è scontato dire che hanno a cuore il bene dei più piccoli. La loro argomentazione è chiara. "È una serie interessante, con molti spunti sociali, ma anche violenta e che mostra come il cinismo possa fare molto male. Non è una serie per famiglie, è un contenuto che va preso per quello che è. La colpa è di chi consente libero accesso ai minori", dice la sua Nuccio. Aggiunge Raffaele: "La serie ha degli spunti interessanti, su un contesto sociale diverso dal nostro ma a tratti simile, contiene anche delle esasperazioni e delle banalità. E’ un contenuto vietato ai minori di 14 anni. Di conseguenza gli unici colpevoli di quanto sta accadendo attorno a questa serie sono come al solito adulti incapaci di leggere e seguire semplici regole e il fatto che siano anche genitori rende il tutto più sconcertante. Nessuno si sognerebbe di cancellare film horror perché violenti o crudi. Semplicemente non li fa vedere ai figli".