Parlano i famigliari delle vittime del Covid

«Tre anni di lotta, ora vogliamo giustizia»

La battaglia dell’associazione dei famigliari vittime Covid raccontata dalla monzese Raveane

«Tre anni di lotta, ora vogliamo giustizia»
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«Abbiamo perso i nostri cari senza nemmeno poter dire loro addio. Ora vogliamo la verità e non possiamo che ringraziare quei magistrati che non hanno mai minimizzato le nostre richieste, continuando a indagare per far luce sui fatti».

«Tre anni di lotta, ora vogliamo giustizia»

Era il 3 aprile del 2020 quando la monzese Alessandra Raveane - oggi tesoriera di Sereni e Sempre uniti - Associazione familiari delle vittime Covid con sede a Monza - e la sua famiglia, vennero raggiunti da una notizia che mai avrebbero voluto ricevere.
Il nonno, Silvano Magnetti di 86 anni, era appena deceduto in ospedale a causa del Covid.

Da allora la famiglia Raveane, così come tantissime altre che hanno perso i propri cari durante la pandemia, non ha mai smesso di chiedere giustizia. Tanti, troppi, gli interrogativi mai sciolti intorno a quelle terribili prime settimane durante le quali mancava tutto, dalle mascherine ai tamponi. Settimane segnate da decisioni che si sarebbero rivelate sbagliate e le cui conseguenze le avrebbero pagate i cittadini.

Ora, a distanza di tre anni dalla prima terribile ondata Covid che travolse l’Italia, colpendo soprattutto Lombardia e Veneto, l’avviso di conclusione delle indagini da parte della Procura di Bergamo, rappresenta per tutti i parenti delle vittime (anche quelle i cui fascicoli sono aperti presso altre Procure) un tassello fondamentale nella ricerca della verità.

Il racconto di Alessandra Raveane

«Mio nonno ha sempre vissuto a Monza fino a quando, dopo la pensione, non ha deciso di spostarsi sul lago di Garda - ha spiegato Alessandra Raveane - Quando è scoppiata la pandemia si trovava ospite di una residenza per anziani, sempre in provincia di Brescia. Ed è proprio all’interno della struttura che si era ammalato. Avremmo poi appreso come l’ospite col quale condivideva la stanza, fosse positivo. Inevitabilmente, essendo stati chiusi in camera insieme per 20 giorni, mio nonno era stato contagiato. Inizialmente sembrava che avesse solo qualche lieve sintomo, poi improvvisamente le sue condizioni sono precipitate». Tutte informazioni che la famiglia riceveva da remoto, essendo quello il periodo del lockdown più severo.

Il ricovero

Il 27 marzo del 2020 Magnetti è stato ricoverato in ospedale a Desenzano. «Solo lì, tuttavia, è stato accertato che si trattava di Covid. Qualche giorno prima era stato visitato dal personale del 118, chiamato su nostra richiesta dalla struttura. Ma non c’erano tamponi disponibili per le persone per cui il ricovero non era ritenuto necessario. E così, quando mio nonno è arrivato in ospedale, la polmonite intersiziale laterale che aveva contratto era già grave». Magnetti è deceduto una settimana dopo il ricovero, il 3 aprile, «senza che nessuno di noi abbia potuto dargli un ultimo abbraccio e un ultimo saluto», ha sottolineato con la voce spezzata dalle lacrime Raveane, affezionatissima a suo nonno. «La sua scomparsa ha rappresentato un grande dolore per tutta la famiglia. Per mia sorella Federica e per me, lui è stato come un secondo papà. Si è sempre preso cura di noi e quando è giunto il momento di ricambiare, prendendoci noi cura di lui, ce lo hanno impedito. Non riusciamo a darci pace al pensiero che abbia trascorso gli ultimi giorni della sua vita lontano da noi, senza il conforto di una voce che non fosse mediata dal telefono e senza nemmeno una carezza. Forse se, fin dai primissimi giorni, la pandemia fosse stata affrontata in altro modo, le cose avrebbero potuto andare diversamente».

L'esposto in Procura

Il 10 giugno dello stesso anno - il primo “denuncia day” - le sorelle Raveane hanno presentato un esposto in Procura a Bergamo. Insieme a loro, innumerevoli altre famiglie. Esposti che poi sono stati smistati presso le Procure competenti a livello territoriale. «Visto che mio nonno è mancato a Desenzano, il fascicolo è passato alla Procura a Brescia che si è dimostrata decisamente più propensa ad archiviare. Richiesta che è arrivata anche per la nostra denuncia, ma alla quale ci siamo opposte attraverso il team avvocati dell’associazione».

La battaglia legale

Una battaglia legale che la famiglia porta avanti con grande coraggio. «Perché lo facciamo? Perché nostro nonno era una persona meravigliosa. Era il secondo marito di nostra nonna, più giovane di lei di dieci anni. Aveva quarant’anni quando sono nata, e mia sorella ed io siamo state un po’ le sue figlie mancate. Trascorreva con noi ogni momento libero e così è stato anche coi nipoti. Non ha mai perso occasione di stare insieme ai miei figli, di giocare con loro a calcio. E’ sempre stato molto presente nelle nostre vite. Quando ha cominciato a manifestare i primi piccoli problemi di salute legati all’età, abbiamo cominciato ad accudirlo. E avremmo voluto farlo fino in fondo, ma ciò ci è stato impedito». Tre anni di richieste di chiarimenti da parte dei parenti dei morti Covid che, con le indagini condotte a Bergamo, hanno ora una speranza di arrivare.

«Per questo vogliamo ringraziare la Procura di Bergamo che ha perseverato nel portare avanti le indagini. Non possiamo sapere se, alla fine, avremo le risposte che chiediamo, ma il lavoro dei magistrati è un primo passo in tal senso. E cercare la verità può evitare che tutto ciò si possa ripetere in futuro».

L’associazione

Gli avvocati di Sereni e sempre uniti - associazione familiari delle vittime del Covid, hanno voluto commentare la conclusione delle indagini tramite una nota. «Il significato più profondo che attribuiamo all’esito dell’indagine è il rispetto per tutti i cittadini, in particolare per i familiari delle vittime, per lo più ignorati nel loro dolore e da tre anni a questa parte, offesi dalle continue e reiterate negazioni di responsabilità proprio da parte di coloro che ora risultano indagati per una loro ipotesi di mala gestio pandemica. Alla Procura di Bergamo, un grazie da parte di tutti noi legali, rappresentanti dei familiari delle vittime dell’associazione Sereni e sempre uniti, per aver riconosciuto la fondatezza delle nostre richieste e attribuito valore alla nostra, seppur minima, collaborazione con i magistrati».

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