Intervista

Un anno senza Luca Attanasio: "Lo sentiamo ancora qui"

Il papà del diplomatico limbiatese: "Questa tragedia riguarda tutti, finché non si otterrà un minimo di giustizia bisogna parlarne"

Un anno senza Luca Attanasio: "Lo sentiamo ancora qui"
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Un anno senza Luca Attanasio: "Lo sentiamo ancora qui". Il papà del diplomatico limbiatese: "Questa tragedia riguarda tutti, finché non si otterrà un minimo di giustizia bisogna parlarne"

Un anno senza Luca Attanasio: "Lo sentiamo ancora qui"

Un anno senza Luca Attanasio. Il papà Salvatore ricorda il figlio ambasciatore in Congo in una lunga e toccante intervista: la carriera diplomatica vista come missione, il forte legame con la cittadina dove è cresciuto, Limbiate, e con la sua famiglia, il tragico assalto al convoglio del Pam nella regione del Nord Kivu, il 22 febbraio 2021 e le tante domande ancora senza risposta. Chi ha ucciso il diplomatico 43enne e perché?

Cosa avete pensato quando Luca vi ha detto che sarebbe andato a lavorare lontano da casa per intraprendere la carriera diplomatica?
Inizialmente siamo rimasti un po’ scioccati. Aveva delle ottime opportunità di lavoro, anzi mi sembra stesse già lavorando. Per noi è stato un momento di riflessione, la nostra famiglia non arriva da un ambiente diplomatico (il papà è ingegnere, la mamma casalinga ndr) e in genere quelle professioni sono un po’ ereditarie, quindi gli abbiamo chiesto: “Luca sei sicuro di lasciare un posto di lavoro certo, una strada quasi tracciata, per un’incognita?” Sapevamo che è uno dei concorsi più difficili, però conoscendo Luca che aveva grandi progetti non lo abbiamo mai ostacolato. Il suo pensiero per la carriera diplomatica non era nato in quel momento, quando era al liceo (il Majorana di Desio ndr) aveva partecipato a un incontro con un diplomatico, penso che Luca abbia registrato quelle informazioni e poi le abbia riposte nei cassetti profondi della memoria. Poi quando ha visto a casa il volantino del master in Politica internazionale dell’Ispi si è accesa la lampadina.

In questi anni non ha mai avuto ripensamenti?
Assolutamente no. Era tentato quando gli veniva fatta qualche proposta di lavoro, ma poi è sempre rimasto sulla sua strada. Lui vedeva nella diplomazia l’opportunità per dare sfogo ai suoi ideali, per interpretare la vita in modo diverso. Aveva grandi sogni, ci credeva e cercava di realizzarli. Dove è andato ha lasciato una traccia, si è sempre impegnato in prima persona.

La moglie, Zakia Seddiki, in un’intervista disse che quando ad Attanasio era stato proposto il Congo la sua prima reazione fu di paura, non voleva andare. Voi cosa avete pensato?
Avevamo un po’ di timori sentendo com’è la vita in quei territori, ma non abbiamo condizionato le sue scelte. Lui sentiva il bisogno di fare quella esperienza.

Tra Luca, sua moglie e il Congo si era creato subito un rapporto molto stretto, ne è l’esempio la fondazione dell’associazione Mama Sofia. Attanasio ne parlava con grande entusiasmo, cosa vi raccontava del suo impegno sociale?
Luca non raccontava molto delle sue iniziative. Lui faceva le cose, ma non amava pubblicizzazioni, cercava sempre di stare un po’ dietro le quinte. Dopo quello che è successo abbiamo saputo tutto quello che ha fatto, anche attraverso le testimonianze di congolesi che lo hanno conosciuto e apprezzato. Abbiamo filmati, scritti, interviste di persone che ci hanno raccontato di aiuti concreti.

Un anno fa l’omicidio di Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo. Nei giorni prima dell’agguato avevate sentito Luca? Cosa vi aveva detto?
Ci sentivamo tutti i giorni. Luca era molto occupato, però riusciva sempre a comunicare con tutti. Come riuscisse a trovare questo tempo non saprei, era super tecnologico, magari mentre parlava scriveva, era multitasking. Ogni mattina un messaggino o una veloce telefonata la faceva sempre per sapere come stavamo, soprattutto nel periodo del Covid era molto preoccupato per noi. Lo abbiamo sentito anche la mattina di lunedì 22 febbraio, alle 8,30 ci ha mandato una foto e un messaggio per dirci che era in partenza e mercoledì sarebbe tornato dalle sue bambine. Era sereno e noi di conseguenza non eravamo affatto preoccupati

Luca Attanasio era già stato in missione con le Nazioni Unite? Anche in quelle zone? Dai saveriani a Goma era già andato in passato?
Nella zona del Kivu ci andava almeno due volte l’anno per far visita agli italiani che vivono lì, laici ed ecclesiastici, Luca cercava di capire i loro problemi e di aiutarli. Almeno una volta all’anno andava dai saveriani. Uno di loro, padre Rinaldi, mi disse che era inspiegabile che quel giorno (domenica 21, il giorno prima dell’agguato ndr) quando Luca era andato a trovarli non ci fossero militari. Perché di solito quando arrivava il loro piazzale era pieno di caschi blu e polizia congolese per proteggere l’ambasciatore. Non sappiamo spiegarci perché questa volta non ci fosse nessuno.

Dalle indagini sono emerse gravi carenze nella sicurezza della missione, due funzionari del Pam sono indagati per omicidio colposo e rischiano il processo

Lo abbiamo sempre immaginato, adesso i magistrati dovranno accertare le responsabilità. Possibile che un vice direttore non conosca i protocolli da seguire? Questo dimostra che Luca ha seguito tutte le regole, la sicurezza della missione spettava al Pam e non è stato fatto nulla. Questo è un primo tassello verso la verità, Vediamo ora se questi funzionari collaboreranno con la giustizia

L’omicidio ha avuto una eco enorme a livello internazionale, suscitando profondo cordoglio. Le parole delle istituzioni, le commemorazioni, le intitolazioni, gli innumerevoli ricordi. Ma la gente comune, i limbiatesi, cosa vi hanno detto? Come vi hanno dimostrato la loro vicinanza?
I limbiatesi ce la dimostrano ogni giorno, di fronte a tragedie di questo tipo la gente non ha paura. Sentiamo la vicinanza anche nelle cose quotidiane. E’ stato completato il monumento per Luca, lo ha realizzato l’artista limbiatese Dario Brevi di Limbiate, un grande amico di Luca; certamente è stato un modo di dimostrare affetto.

In un’intervista un esponente del movimento dei Focolari, operativo a Kinshasa, ha sostenuto che Attanasio sia stato ucciso perché era una voce autorevole. Cosa ne pensa?
Non ho sentito queste affermazioni. Posso solo dire che io sono stato in Congo una sola volta, prima del Covid: quando Luca usciva in strada, sempre con la scorta, c’erano i bambini che gli correvano intorno per dirgli “Bonjour Ambassadeur!” era una festa quando lo vedevano, era benvoluto. Non si capisce che fastidio potesse dare, lui faceva solo del bene. Nel suo lavoro era meticoloso, attento alla sua sicurezza. Quelle rare volte che siamo usciti a mangiare fuori veniva seguito un articolato protocollo prima che entrasse al ristorante. Andavano prima i Carabinieri, ispezionavano e sceglievano il posto dove sedersi. Luca non faceva mai nulla di diverso da quello che dicevano i Carabinieri, ci teneva alla sua vita e a quella della sua famiglia.

Avete intenzione di recarvi, appena possibile, sul luogo in cui è stato commesso l’omicidio?
Il nostro primo obiettivo è che si raggiunga la verità, quando la giustizia avrà fatto il suo corso, vedremo. Andare là vuol dire aprire ancora ferite, anzi la ferita non si chiuderà mai. E’ passato un anno ma per noi è ancora come il primo giorno. Il tempo non lenisce il dolore. Noi Luca lo sentiamo ancora qui, non ci rendiamo conto che non c’è più. Abbiamo tanti ricordi, non è morto, il suo spirito c’è, è qui con noi.

Con che frequenza Luca tornava a Limbiate?
Era molto legato a Limbiate, era sempre in contatto con tutti, i suoi amici, il sindaco. Le sue visite non erano periodiche, quando poteva tornava, a volte improvvisamente. Una volta io e mia moglie eravamo andati a Messa, lo abbiamo trovato lì e ci siamo detti “Ma quello non è Luca?” Lui amava fare le sorprese. Comunque erano tutte visite mordi e fuggi, due o tre giorni

E’ vero che pochi mesi dopo l’omicidio sarebbe dovuto tornare in Italia con la sua famiglia per restare?
Doveva terminare la missione in Congo a settembre dell’anno scorso, poi sarebbe rientrato a Roma. Infatti era tornato in Italia a ottobre del 2020, quando aveva ricevuto il premio Nassiriya per la pace e si era fermato a Roma con la moglie per trovare casa e iscrivere le bambine a scuola, poi tutto e precipitato. Come per tutti i diplomatici, magari dopo due anni avrebbe ricevuto un altro incarico all’estero e sarebbe partito.
Ora la moglie e le figlie di Attanasio dove vivono? Zakia Seddiki è riuscita ad avere la cittadinanza onoraria?
Ora vivono a Roma. Dopo la tragedia Zakia ha avuto la cittadinanza italiana. Le nostre istituzioni sono state sempre presenti, gli unici assenti sono il Pam e aggiungiamo l’Onu

E l’associazione Mama Sofia?
L’associazione sta andando avanti, adesso è nata Mama Sofia Italia. Intanto prosegue l’attività in Congo, dove è nata. In questi anni sono state formate delle persone che si occupano della gestione operativa locale. Zakia è determinata, nonostante tutti i problemi e le difficoltà, come la gestione di tre bambine che hanno quasi la stessa età.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito la Gran croce d’onore alla memoria di Luca Attanasio. L’immagine simbolo di quel momento è il presidente la consegna a vostra nipote Sofia.
Mattarella ha fatto il nonno in quell’occasione, quando la bambina ha ritirato l’onorificenza ha chiuso la scatola, è andata a sedersi, l’ha appoggiata vicino a lei e ha preso il telefonino. Allora Mattarella si è messo a ridere e ha detto “Ha rotto tutti i protocolli”. Poi abbiamo avuto un colloquio privato con lui, ha speso parole molto belle per Luca, ha detto che la diplomazia italiana deve prendere esempio da lui, per come si porta l’italianità nel mondo. E’ importante che anche nelle scuole se ne parli, i valori che Luca voleva trasmettere sono importanti per le nuove generazioni. I ragazzi devono avere dei sogni, devono capire che per arrivare a realizzarsi bisogna far fatica.

Le bambine sanno che il papà non c’è più? Chiedono di lui?
La più grande è quella che secondo noi soffre di più e per induzione anche le gemelle più piccole, avendo solo 18 mesi di differenza. Chiede sempre quando torna il papà. Ha capito che qualcosa è cambiato, la vita che faceva prima è stata stravolta, c’è una serenità che è mutata. Una volta a Roma l’abbiamo portata a visitare una chiesa e non voleva più uscire perché diceva “qui c’è il mio papà, io lo aspetto”. Si ricordava del funerale

Cosa vi ha aiutato a farvi forza in questi mesi? L’affetto delle persone, la famiglia, la fede?
La forza è data dalle bambine, adesso la nostra vita è lì. Dobbiamo essere noi forti perché sennò crolla tutto. Le bambine hanno bisogno di un sostegno, di sentire la famiglia vicino. Roma non è molto distante, comunichiamo spesso con le videochiamate. Adesso iniziano a parlare un po’ di italiano, prima conoscevano solo il francese. Luca parlava sempre in italiano con loro.

Cosa consigliate a chi vorrebbe intraprendere la stessa carriera di Luca? Col senno di poi direste di lasciar perdere visti i pericoli che si corrono?
Io mi immedesimo in Luca, lui rifarebbe tutto. E’ un lavoro che si fa con spirito di lealtà, correttezza, coerenza, una bellissima carriera che offre tanti spazi, dà la possibilità di realizzare grandi sogni, non me la sento di consigliare di lasciar perdere.

In questi dodici mesi vi abbiamo visto partecipare a tutte le iniziative, anche le più piccole, in cui si rendeva omaggio all’ambasciatore. E’ importante ricordare soprattutto in questa fase di ricerca della verità?
Noi non vogliamo assolutamente che questa storia cada nell’oblio, finché non si arriverà alla verità o si otterrà un minimo di giustizia bisogna parlarne. Non è un fatto di cronaca, l’omicidio di un ambasciatore e di un carabiniere in servizio, in missione umanitaria, in periodo di pace, è un fatto grave. L’ambasciatore rappresenta lo Stato, quindi lo Stato deve reagire, avere la schiena dritta e pretendere verità e giustizia. E’ un episodio che riguarda la nazione, è giusto che anche la gente sia sempre sul pezzo. Questa tragedia riguarda tutti. Luca ha lasciato un grande patrimonio di valori, sarebbe un peccato sprecarli. Le manifestazioni per lui sono quasi quotidiane, da parte delle istituzioni ma anche da parte della gente comune. Noi a volte sulla tomba troviamo vasi di fiori e non sappiamo chi li ha portati, spesso arrivano da lontano. C’è un ragazzo dalla Sardegna che ogni tanto li manda, ci ha scritto che è rimasto molto colpito dalla figura di Luca. E’ chiaro che per noi sarebbe stato meglio averlo qui, anche tutti questi riconoscimenti saranno l’orgoglio delle figlie quando saranno grandi e capiranno, adesso per loro è una strada in salita. Purtroppo dovranno crescere senza il papà e aggiungo “che papà!”. Gli avrebbe potuto insegnare tanto. Questa è la più grande angoscia che abbiamo.

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