Monza

Una "perla" inaspettata: gli splendidi mosaici della chiesa di San Biagio

Tutti i dettagli delle opere d'arte che arricchiscono l'edificio religioso

Una "perla" inaspettata: gli splendidi mosaici della chiesa di San Biagio
Pubblicato:

Le chiese di Monza nascondono spesso tesori del tutto inaspettati. E no, non stiamo parlando del Duomo, né delle chiese sussidiarie d’antica fondazione conventuale che costellano le vie del centro.

Una "perla" inaspettata

Il quartiere è quello di San Biagio, a Monza, la chiesa quella moderna costruita negli anni Sessanta del secolo scorso accanto al vecchio complesso parrocchiale di età borromaica (abbandonato nel secondo dopoguerra perché compromesso e crollato su sé stesso nel 1977).

La storia della chiesa

A seguito di svariati concorsi banditi invano, infruttuose raccolte fondi e intoppi di natura burocratica che procrastinarono fatalmente l’inizio dei lavori, il progetto per l’erigendo edificio fu affidato all’architetto di grido Luigi Caccia Dominioni. A coadiuvarlo della predisposizione dell’apparato ornamentale troviamo Francesco Somaini, celeberrimo scultore lomazzese che in quegli anni si dilettava a disegnare raffinatissimi mosaici dal sapore quasi post-futurista, fluide e sinuosi, pervasi da tensioni e involuzioni che evocano il liberty.

Gli splendidi mosaici di San Biagio

La struttura della nuova chiesa si ispira ad una tenda sospesa del deserto, come suggeriscono anche i colori sabbiosi degli interni. Oltre al grande tabernacolo in bronzo per l’altare del Santissimo, agli originalissimi confessionali in lamiere ricurve e alle magistrali vetrate nei tre colori simbolo del mistero pasquale che corrono ininterrottamente lungo il perimetro dell’edificio, a guisa di un fregio paleocristiano, l’artista studiò un enorme mosaico a soggetto liturgico ispirato liberamente al capolavoro della cattedrale di Otranto: un maestoso albero della vita avrebbe dovuto sviluppare l’enorme fusto dalla porta d’ingresso fino all’altare maggiore e dispiegare i lunghi, contorti rami su tutta la superficie del nuovo presbiterio. Tuttavia, causa un ripensamento del parroco don Mario Tomalino, propenso a ridimensionare le ambizioni del progetto e ad escludere l’area della navata, le dimensioni complessive dell’opera musiva furono ridotte e si rinunciò infine a sottolineare il percorso visivo assiale.

I mosaicisti

I lavori iniziarono nell’agosto del 1967, quando la costruzione della chiesa era ormai alle battute conclusive. La traduzione del disegno fu affidata a una ditta di mosaicisti formatisi nella rinomata scuola del mosaico di Spilimbergo. Un’impresa monzese fu invece incaricata di produrre le grosse piastre in bronzo dorato che simulano i frutti dell’albero, perfettamente incastonate tra le tessere dei rami ritorti altrimenti nudi, quasi a rispolverare la tradizione ravennate dell’uso di tessere auree.
Le varietà lapidee per i toni delle tessere presentano diverse gradazioni di bianco, nero e grigio.
Durante la trinciatura in laboratorio, lo scultore supervisionò la cernita di tonalità nella stessa pezzatura e qualità marmorea, scartando i cubetti anomali o troppo venati; quindi, in fase di lavoro, vigilò affinché i mosaicisti curassero la tensione e la leggerezza delle linee curve, delle forme sempre contrastanti e sfuggenti dettate dagli schizzi.

I significati più profondi

Il risultato è un possente albero dal fusto nero in tensione dinamica su sfondo bianco sviluppato su una superficie totale di ben 236,95 metri quadri. L’inversione cromatica è un preciso accorgimento che intende rimarcare le differenze tra esistenza terrena e ultraterrena nel ribadire contestualmente l’eterna continuità di Santa Madre Chiesa nel processo che guida le anime verso l’eterna salvezza. I rami sono protesi fin verso il fondo del coro e avviluppano l’altare quasi alla maniera di una corona di spine, mentre le radici sinuose scendono sui tre gradini di raccordo con il piano principale della navata.

Gli elementi architettonici

L’altare centrale fu subito concepito quale fulcro irradiante dell’opera musiva tutta, una spinta centrifuga per i rami e per le radici. Allo stesso tempo, assecondando il senso di coinvolgimento totale voluto dall’architetto, la sacra mensa si trasforma in parte integrante e necessario completamento del programma decorativo: le tessere rivestono infatti senza soluzione di continuità l’intera superficie dell’altare facendone una propria appendice, curvando sinuosamente in corrispondenza del punto di raccordo con il piano del suolo, come se esso sgorgasse direttamente dal pavimento e rappresentasse l’apice di un suggestivo effetto prospettico, secondo un tema di “design” per le architetture sacre particolarmente caro a Caccia Dominioni.

La fronte antistante la navata presenta tre schematiche croci, ciascuna delle quali ricavata da quattro piastre bronzee polilobate. La posa del mosaico ebbe inizio nel novembre del 1967 dal fondo dell’abside protraendosi per un paio di mesi, e la firma in stampatello apposta a fil di muro certifica la coralità di intenti tra artigiano e artista.

Un effetto grandioso

I vertici della parrocchia furono tanto entusiasti da commissionargli all’istante anche il disegno per la superficie pavimentale del nuovo battistero in fase di costruzione, aperto sull’ingresso della chiesa da poco consacrata. Come da progetto, una rigogliosa cascata d’acqua a mosaico, simbolo dello spirito vitale del battesimo, prorompe dal fonte circolare e fluisce sul suolo a onde continue, dapprima serrate, quindi gradualmente più distese, ricoprendo l’intero ambiente per una superficie totale di 43,37 metri quadrati. L’effetto d’insieme è scenograficamente grandioso e accentuato dal ricorso a tessere in madreperla, che ne sottolineano l’aspetto simbolico e insieme impreziosiscono la fattura.
Quando intorno alle festività pasquali 1968 l’opera fu ultimata, le spese complessive per i due mosaici ammontavano a 5.938.757 lire. Una somma non da poco, ma che ripagava ampiamente le aspettative di tutta la comunità dei fedeli.

Seguici sui nostri canali
Necrologie