Zappalà assolto: non sequestrò l’amica 23enne. A quattro anni dal blitz, il 73enne è stato prosciolto
Nel 2020 la Polizia fece irruzione nel suo appartamento, dove ospitava due giovani dominicane
Assolto perché il fatto non sussiste. A quasi quattro anni dal blitz della Polizia di Stato nella sua abitazione di via Carducci a Muggiò, dove si sospettava tenesse rinchiuse due giovani donne di Santo Domingo, Giuseppe Zappalà, 73 anni, è stato prosciolto dalle accuse mosse a suo carico.
Zappalà assolto: non sequestrò l’amica 23enne. A quattro anni dal blitz, il 73enne è stato prosciolto
L’anziano, difeso dall’avvocato Francesco Mogliotti, doveva rispondere dei reati di sequestro di persona per aver privato della libertà personale Jennifer, una delle due ragazze che, al momento dell’irruzione, viveva da lui e che all’epoca aveva 23 anni. Nelle dieci pagine della motivazione della sentenza (documento depositato a fine aprile) emergono le ragioni che hanno portato la giudice ad assolvere l’anziano.
Dieci pagine nelle quali viene anche riassunta la vicenda, cominciata nel 2019, quando l’uomo conobbe di persona la prima delle due ragazze che avrebbe poi ospitato nel suo appartamento di Muggiò, Naoly, giovane di Santo Domingo con la quale avrebbe intrecciato una relazione culminata con una promessa di matrimonio. Lei si era trasferita da lui a Muggiò e pochi mesi dopo l’aveva raggiunta l’amica Jennifer, sua coetanea. E a quel punto la situazione era precipitata. Nel luglio 2020 Jennifer aveva chiesto aiuto ai parenti a Santo Domingo raccontando loro di essere prigioniera con l’amica di quell’uomo. La notizia, dalla repubblica caraibica era giunta in Questura a Monza.
Il 18 luglio era scattato il blitz della Polizia di Stato nell’appartamento di Muggiò. Gli agenti avevano trovato le due donne e per Zappalà era scattato l’arresto per sequestro di persona. Le giovani erano quindi state ascoltate a lungo dagli inquirenti ai quali avevano raccontato di essere state costrette in casa per diverse ore al giorno perché l’anziano le chiudeva dentro a chiave inserendo anche l’allarme perimetrale e impedendo loro di poter in qualsiasi modo uscire di casa senza di lui.
Dopo l’arresto, per Zappalà erano arrivati i domiciliari. Dopo un’iniziale speranza che il tutto venisse archiviato, era arrivato il rinvio a giudizio e dunque il processo con l’accusa di aver privato della libertà personale Jennifer (e non Naoly) «impedendole di uscire e assicurandosi che non potesse allontanarsi dalla sua abitazione, chiudendo la porta a chiave e inserendo l’allarme».
Zappalà si è sempre dichiarato innocente
Da parte sua Zappalà si era sempre dichiarato innocente. Già in sede di incidente probatorio aveva dichiarato spontaneamente che il procedimento gli stava rovinando la vita e che all’epoca era spaventato dal Covid. Ragione accolta dalla giudice che nelle motivazioni scrive. «Risulta verosimile la tesi difensiva secondo la quale Zappalà avesse paura degli incontri delle donne al di fuori dell’appartamento e dunque di potersi contagiare». A favore dell’assoluzione ha giocato anche il fatto che le dichiarazioni della persona offesa, come si legge sempre nella motivazione della sentenza, siano risultate «poco precise».