Arte, la Via Crucis su lastre di Luca Melzi - la recensione

Il corpo del Cristo in croce dipinto sulle radiografie, da domenica alla Rotonda di San Biagio

Arte, la Via Crucis su lastre di Luca Melzi - la recensione
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Arte, la Via Crucis dell'artista monzese Luca Melzi in mostra da domenica alla Rotonda di San Biagio.

Arte, una Via Crucis rivoluzionaria

In occasione della Pasqua, un’accorata riflessione sul senso della vita. Oltre la morte.

Sarà inaugurata domenica alle 17 alla Rotonda di San Biagio, alle presenza delle Autorità, la Via Crucis dell’artista monzese Luca Melzi, straordinaria reinterpretazione delle tradizionali 14 stazioni legate alla passione di Cristo.

Rivoluzionaria la strategia utilizzata dall’artista, che ha messo mano alle lastre radiografiche fatte in ospedale dal padre per dare vita attraverso il colore al doloroso percorso di Gesù, dal tribunale di Pilato fino alla cima del Golgota.

Per riassumere la sofferenza umana, ma pure per aprire le porte alla speranza.

A presentare l’esposizione il giornalista Andrea Loddo, che ha curato il testo critico, e ad accompagnare il vernissage il soprano Kaoru Saito e il pianista Yuka Gohda.

Anteprima - la recensione

 "Nell’arte da sempre confluiscono sia fattori di tipo sociale, sia istanze di natura psicologica connesse a problematiche esistenziali tutte centrate sulla questione del senso della vita. Lo sanno bene gli artisti, il cui compito è quello di penetrare e decodificare l’essenza nascosta delle cose del mondo per poi renderla fruibile agli ignari.

Ci sono verità, dunque, che per quanto crude o complicate vanno svelate.

Così Luca Melzi, impegnato a raccontare l’unica ineludibile meta verso la quale noi tutti siamo trascinati. Ovvero la morte.Per fare ciò sceglie una strategia alquanto rivoluzionaria, impiegando in modo del tutto inusitato delle lastre radiografiche. Più precisamente, si avvale di quello strano e moderno materiale plastico per comporre una Via Crucis (e quale dolore, se non quello inflitto al Figlio dell’Uomo, sintetizza meglio tutti i dolori fisici e psicologici che accompagnano la storia dell’esistenza umana? quale morte, se non quella sulla croce di Gesù, rappresenta l’evento escatologico per eccellenza?).

Come ha avuto modo di evidenziare Martin Heidegger nel secolo scorso, la morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri. Di qui, appunto, l’idea dell’artista di trasformare nelle ben note quattordici stazioni commemorative alcune delle radiografie fatte in ospedale dal padre. Strumenti di indagine diagnostica, questi ultimi, il cui utilizzo prevede che la luce perda la sua consueta funzione estetica per andare a scavare oltre la superficie esterna, oltre la pelle, per indagare la materia, la carne. Sottolineandone l’inesorabile corruzione, la consunzione, la malattia, l’intrinseca correlazione con la sofferenza. Senza inganni.

Ma c’è di più. Attraverso quei radiogrammi Melzi tenta altresì di esplicitare un’altra verità. Attraverso quei radiogrammi vuole diffondere l’antichissimo messaggio secondo il quale dalla morte nasce la vita.

Non soffre d’arroganza, la sua è una riflessione obbligata. La morte la si sperimenta tutti i giorni e congetturare intorno al concetto di risurrezione è da secoli quanto di più attraente per l’uomo. Ne scaturisce un viaggio catartico e liberatorio che vuole lasciarsi alle spalle la quotidianità terrena per inoltrarsi verso una superiore completezza. E’ una tappa comune a molte religioni (nella spiritualità orientale è quella via che porta alla cessazione della sofferenza e quindi all’illuminazione), qui dignificata nella Buona novella cara ai cristiani che parla di risurrezione, della Pasqua.

Si focalizzi lo sguardo sulle opere. Le gittate di colore grigio e nero che vanno a disegnare il corpo prostrato del Cristo non sono altro che il pretesto per indirizzare lo sguardo di chi osserva verso quegli spazi bianchi che nelle immagini radiografiche sono le formazioni ad alto numero atomico e di spessore elevato, ossia le ossa e il mediastino. Eccola lì, in quei punti ben precisi, l’altra luce. L’altra immensa luce rivelatrice che è porta tra due mondi, squarcio ideale verso una terza dimensione, grandiosa promessa secondo cui nulla è perduto. Ancora, strada verso quell’oltre, verso quell’infinito nel quale il male è annullato e l’uomo finalmente si palesa nella compiutezza della condizione divina. Secondo il progetto originario dell’Altissimo.

 - Stavo alla finestra, ammirato nell’osservare i raggi del sole che trapassavano quella materia - racconta Melzi. Come nei quadri di Fontana, il dipinto diviene una superficie contenente una breccia.

Ecco, accade che in questa meditazione su radiografie l’artista che si dichiara “non praticante” riesce invece a toccare in maniera egregia il senso più profondo del mistero cristiano, a esprimere una fede inevitabilmente lontana dal peso della retorica ma straordinariamente profonda, sentita, vissuta. Intrisa di speranza. Tanto da diventare una vera e propria sfida lanciata all’indirizzo del visitatore.

Sbaglia, perlomeno in questo caso, chi accenna alla gradevolezza delle opere. Tutt’altro, sono opere terribili, inquietanti. Può un corpo deposto dalla croce risultare gradevole? No, certo che no. Qui il silenzio urla. E il colore che sembra non raffermarsi mai è vivo e vibrante come sangue. E non potrebbe essere altrimenti. La verità richiede coraggio. E’ un rito d’iniziazione difficilissimo. E Melzi lo sa.

Dunque, perché simili visioni? Quale scopo precipuo?

E’ un invito a non incapricciarsi con prospettive fallaci, limitate all’inesorabile e tragica avanzata della morte. Le ipotesi sono ormai certezze. L’artista diventa milite divino. E il Cristo in croce la più meravigliosa delle sovversioni estetiche, poiché Cristo tramite la croce ha sovvertito la storia e il mondo, facendo nuove - e belle - tutte le cose.

Melzi ha sempre attentato alle convenzioni. C’è altro, c’è ancora luce, e non bisogna mai smettere di cercarla.

Andrea Loddo

 

 

 

 

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