Clamoroso

Caso piscina: condannata l'ex Giunta Cazzaniga

In sei, tra ex sindaco e assessori, dovranno rifondere al Comune il danno erariale cagionato

Caso piscina: condannata l'ex Giunta Cazzaniga
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Clamoroso a Besana. Ribaltata in appello la sentenza della Corte dei Conti: per il caso piscina sono stati condannati i membri della prima Giunta Cazzaniga, quindi l’ex sindaco Sergio Gianni Cazzaniga (oggi capogruppo in Consiglio comunale di BesanAttiva) e gli ex assessori Giancarla Arienti, Luciano Beretta, Luigi Pirovano, Antonio Pizzagalli e Pietro Pio Spotti. Dovranno rifondere al Comune il 10 per cento dei 390 mila euro - 39 mila e 75 euro - versati nel febbraio del 2014 a «Turra srl» e «Aqvasport» per la mancata realizzazione dell’impianto natatorio del Mighinzano. Confermata invece l’assoluzione degli altri venti imputati, consiglieri e membri del secondo Esecutivo Mauri, consiglieri del primo Cazzaniga e quattro dipendenti comunali al lavoro in villa Borella tra il 1999 e il 2009.

Ribaltata la sentenza di primo grado

Ha davvero del clamoroso la sentenza depositata a Roma lunedì scorso dalla Sezione giurisdizionale centrale d’appello del tribunale contabile che ha messo la parola fine sull’intricata vicenda, dal 2003 protagonista dentro e fuori le stanze del Municipio. Clamorosa per l’esito, così come per i contenuti.
Era il 14 giugno del 2019 quando la Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia della Corte dei Conti assolveva tutti e ventisei gli imputati, nessuno escluso. A settembre, però, l’ennesima doccia fredda con il ricorso in appello della Procura generale.

La delibera sulla graticola

In estrema sintesi, i giudici contabili imputano il danno erariale cagionato al Comune - seguito alle sentenze di Tar e Consiglio di Stato - alla delibera 219 del 2008 con la quale la Giunta Cazzaniga azzerava il progetto preliminare della piscina approvato il 26 aprile del 2004 dall’Amministrazione Mauri, nonostante diversa disposizione del Tar che aveva «demolito» l’analoga delibera di Consiglio comunale del 2006.
Intraprendere la strada dell’annullamento in autotutela, si legge nel dispositivo della sentenza, «è stata un’opzione assolutamente priva di fondamento, che avrebbe dovuto essere senz’altro accantonata»; una scelta «gravemente colpevole, essendo del tutto prevedibile la successiva soccombenza in giudizio e la consequenziale condanna al risarcimento del danno e alle spese del doppio grado», bollata addirittura come «nefasta».

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