Da mezzo secolo in sella alla sua Lambretta

«Collezionare e guidare queste moto è uno stile di vita. Io con la mia ho girato il mondo, sono arrivato fino in Russia sfidando la pioggia e la neve».

Da mezzo secolo in sella alla sua Lambretta
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L'81enne monzese Paolo Bertozzi è un collezionista dello storico scooter dal lontano 1959 e ama definirsi come l’ultimo dei «mods».

L'ultimo dei «mods»

«In questi giorni di Monza Fuori Gp ho sentito tanti giovani motociclisti spaventati di prendere il proprio mezzo per venire in città. Io non li capisco, per due gocce d'acqua questi ragazzi non si muovono più. Io sono arrivato fino in Russia in sella alla mia Lambretta».
Ha un'energia inesauribile Paolo Bertozzi, nonostante gli 81 anni compiuti due mesi fa, e non è proprio intenzionato ad arrestare la propria passione per le due ruote della storica casa produttrice di scooter, nemmeno dopo tutti questi anni, dall'accensione del primo ciclomotore negli anni Cinquanta e dopo aver tagliato i 60 anni di «carriera» nel collezionismo.
«Non so spiegare le ragioni di questa inesauribile passione - ha raccontato Bertozzi in occasione della kermesse legata al Gran Premio di Formula Uno - Quando avevo 12 anni prendevo in prestito la moto di mio zio per andare a farmi qualche giretto».
Sono tantissimi gli aneddoti legati alla sua fedelissima Lambretta «175 Turismo Veloce»: primo tra tutti quello straordinario viaggio in Russia del 1969.
«Partimmo in una ventina - ha spiegato - Facevamo parte del club dell'Innocenti, per prendere parte al Rally di Russia. Fu un viaggio davvero indimenticabile, che resta scolpito nella mia memoria. Partimmo da Milano e attraversammo l'Austria l'ex Cecoslovacchia, la Polonia e arrivammo fino in piazza Rossa».
Ma i «grand tour» compiuti dal monzese sono stati tanti, nei quattro angoli dell'Europa. Tutti, ovviamente, in compagnia della sua amata Mary, sua moglie, sposata nel 1959. La passione per le Lambrette, tuttavia, non si ferma alle gite e ai viaggi. C'è molto di più.
Negli anni, infatti, Bertozzi insieme a un gruppo fidato di amici ha iniziato ad acquistare e restaurare moto. In questi anni ne ha comprate diverse: possiede dieci Lambrette, un Solex, un Motobecane e un Mosquito.
Il primo scooter lo acquisto negli anni Cinquanta, pagandolo 130mila Lire a rate. Era un modello della serie "C" e lo impiegava generalmente per raggiungere il suo posto di lavoro. Bertozzi nella vita è stato meccanico di strumentazioni usate nel settore tessile e non ha mai nascosto di aver deputato a Monza la sua "casa" adottiva. Lui, infatti, è originario di un paesino delle campgane reggiane ed è stato proprio lì che ha imparato a montare in sella alle motociclette. Negli anni Sessanta è arrivato a Milano, qualche anno dopo, poi, si è trasferito a Monza dove ha lavorato per la ditta Resnati.
«Ho trascorso la mia intera esistenza con le mani nei motori - ha continuato - Quando ho raggiunto il traguardo della pensione, finalmente, mi sono potuto dedicare alla grande passione per le Lambrette. La più vecchia in mio possesso è del 1950, ed è precisamente identica al mio primo scooter. Il modello più recente, invece, è un mezzo prodotto in Spagna sul finire degli anni Ottanta. Ma l'amore per gli scooter è stato intenso anche perché ho potuto condividerlo con la mia Mary, compagna di una vita e di tantissimi moto-raduni. Siamo andati ovunque, io alla guida e lei seduta dietro di me. Da Assisi a Matera, passando per la Toscana, Verona e Metaponto».
In occasione del Gran Premio d’Italia, ancora una volta, Bertozzi ha tirato fuori dal box una delle sue Lambrette e per nulla intimorito dagli allerta meteo, dai nuvoloni e dagli acquazzoni, si è diretto verso il centro storico della città di Teodolinda, per esporre il suo «gioiello» giallo e raccontare la sua esperienza di collezionista ai più giovani amanti delle motociclette. Una testimonianza che arricchisce, quella di Bertozzi, che si lega a filo doppio alle vicende storiche di più di mezzo secolo di accadimenti lungo la Penisola.
«Siamo pezzi di storia - ha ricordato un socio del Lambretta Club, amico di Bertozzi - Oggi non vediamo la stessa passione tra le giovani leve. Forse non siamo stati in grado di trasmettere loro questo amore per la meccanica. Forse, invece, la modernità impone un ritmo di produzione troppo svelto, che non fa innamorare i giovani dei mezzi. Oppure è la tecnologia che rende tutto più “freddo”, meno viscerale. E anche il design non ha più lo stesso mordente, sembra come se i produttori si affidassero più alla funzionalità che alla bellezza. I tempi cambiano, ma finché ci saranno appassionati come noi si terrà vivo il ricordo di questi stupendi pezzi di storia del motociclismo italiano».

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