Inchiesta

Distributore di carburante illegale, padre e figlio condannati

Su un terreno agricolo di Monza avevano creato un'attività di deposito e officina per camion. Fondamentali gli esposti dei residenti

Distributore di carburante illegale, padre e figlio condannati
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Sono stati condannati papà e figlio per reati ambientali commessi nell’area di via dell’Offelera di Monza nel quale era stato creato un distributore di carburanti illegale.

Due condannati per reati ambientali

Il giudice Carlo De Marchi ha emesso verdetto a 15 mesi di reclusione e 12mila euro di multa ciascuno a Salvatore Fichera, 54 anni e al figlio Angelo, 32 anni, per il reato di inquinamento ambientale con il riconoscimento delle attenuanti per aver bonificato la zona prima dell’apertura del processo. L’accusa era quella di avere trasformato illecitamente parte del terreno di via della Offelera in deposito e officina per i camion della loro ditta di trasporti.

Nel 2019 l’area era stata posta sotto sequestro preventivo dalla polizia locale su ordine del Tribunale di Monza. Secondo l’accusa nel deposito, dove erano stati costruiti anche due capanni, c’era un distributore di carburante per i mezzi a uso aziendale ed erano presenti decine di pneumatici per la manutenzione dei camion. Secondo la procura padre e figlio avevano creato una sorta di dépendance della loro impresa su un terreno a destinazione agricola alla periferia di Sant’Albino.

L'area agricola in via dell'Offelera

I reati variavano dalla violazione di norme in materia ambientale e in campo edilizio, fino alla violazione dei sigilli imposti dall’autorità giudiziaria. L’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Cinzia Citterio e condotta dalla polizia locale, aveva portato nel maggio 2019 al sequestro preventivo di un’area che si estende per circa ottomila metri quadrati al confine tra Monza e Brugherio.

Gli accertamenti degli ufficiali di polizia giudiziaria specializzati nella prevenzione e nel contrasto di reati ambientali erano partiti nel 2014: in passato, l’area era già stata interessata da un precedente sequestro e nello stesso anno il comune aveva emesso un’ordinanza di messa in ripristino, che secondo le accuse era rimasta ineseguita.

Gli esposti dei residenti

Secondo quanto ricostruito dalla procura, la proprietà, dopo essersi accaparrata il terreno all’asta, lo avrebbe trasformato in un sito industriale, violandone l’originaria destinazione agricola.

Un ampio deposito di mezzi pesanti aveva sostituito progressivamente il verde presente: dai quattrocento metri quadri di occupazione iniziale al momento del sequestro, giovedì 23 maggio, l’area abusiva si era allargata fino a ottomila metri quadri. La spianata era stata adibita a parcheggio dei camion dell’azienda, oltre cento mezzi, e al suo interno era stato ricavato anche un impianto abusivo per il rifornimento di carburante.

Gli agenti della polizia locale avevano scoperto anche una discarica abusiva. Decisivi, per lo sviluppo delle indagini, erano stati gli esposti presentati dai residenti della zona, supportati dal Comitato di quartiere di Sant’Albino e dalla sezione locale di Legambiente che si è costituita parte civile e ha ottenuto un risarcimento pari a 6mila euro.

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