E' di Usmate uno dei soccorritori che ha salvato la speleologa
Lo speleologo Damiano Montrasio era in una delle squadre che hanno salvato la 31enne Ottavia Piana
La macchina dei soccorsi è stata poderosa. Perché quando, domenica scorsa, la speleologa 31enne bresciana Ottavia Piana ha lanciato l’allarme dopo essersi rotta il ginocchio nel corso di una missione esplorativa, si è capito che non ce l’avrebbe mai fatta da sola a risalire dagli oltre 150 metri di profondità in cui era scesa con alcuni colleghi e che bisognava fare in fretta. Per quasi 40 ore trenta speleologi, divisi in tre squadre, si sono alternati per compiere le lunghe operazioni di salvataggio della istruttrice del Gruppo Speleo Cai Lovere nell’Abisso di Bueno Fonteno, sopra la sponda bergamasca del Lago d’Iseo. E tra questi c’era anche Damiano Montrasio, 48enne di Usmate, analista e project manager alla One Team Srl di Milano, amante della speleologia dal lontano 1997 e membro del soccorso dal 2002.
L’infortunio
L’allarme è scattato domenica 2, nel pomeriggio. La 31enne di Adro dalla mattina si trovava all’interno della cavità, un complesso carsico particolarmente meandrico e ancora in fase di esplorazione, con un gruppo di colleghi speleologi di Progetto Sebino, realtà con cui collabora da tempo. A circa 150 metri dall’ingresso, mentre era impegnata in una manovra di risalita su una parete verticale, uno dei chiodi di ancoraggio si è staccato e nella caduta la 31enne ha battuto il ginocchio contro la roccia, riportando una frattura. E’ stata aiutata da uno dei colleghi, nella doppia veste di speleologo e soccorritore, ma subito è stato chiaro che con le sue sole forze non sarebbe potuta risalire. Erano circa le 16, il tempo per i due compagni di tornare in superficie ed è scattato l’allarme.
I soccorsi
Un allarme efficace ed immediato anche grazie a un sistema suggerito proprio da Montrasio quando, sei anni fa, aveva ricoperto il ruolo di vice delegato.
«All’epoca avevo suggerito di creare un sistema di allerta tramite sms - ha spiegato - In questo modo, intorno alle 19.02 di domenica, è giunto a un team di circa 60 persone un messaggio, accompagnato da una telefonata automatica. Si tratta di un sistema che permette di avere le prime informazioni: in questo caso, per esempio, sapevamo che l’incidente era avvenuto a circa 150 metri di profondità e che c’era stato il trauma agli arti inferiori. A quel punto ciascuno ha potuto rispondere alla richiesta d’aiuto, dando la sua disponibilità ai coordinatori. Io per esempio sono partito da casa circa mezz’ora dopo averlo ricevuto».
Il recupero
Le operazioni di recupero hanno mobilitato i soccorritori (quasi tutti volontari, «ringrazio la mia azienda per il supporto in tutti questi vent'anni di lavoro: è vero che per legge c’è un riconoscimento della giornata di lavoro persa, ma non tutti i datori sono così comprensivi») del Corpo nazionale Soccorso alpino e speleologico che hanno lavorato ininterrottamente da domenica fino al primo pomeriggio di martedì, alle 13.45, quando Ottavia è stata portata in salvo. Con loro anche i membri della Delegazione Orobica, che ha organizzato gli spostamenti delle squadre dal campo base verso la grotta.
Si sono formate tre squadre da una decina di speleologi che hanno operato ciascuna per otto ore dandosi il cambio.
«Io ero nella prima squadra e siamo entrati nella grotta intorno a mezzanotte e mezza di lunedì assieme a uno dei colleghi che era in compagnia di Ottavia e che quindi conosceva la strada - ha proseguito Montrasio - L’abbiamo raggiunta dopo circa tre ore di progressione e avevamo con noi una barella che è stata necessaria dal momento che Ottavia inizialmente non riusciva a muoversi».
Il trasporto fino in superficie
Il salvataggio ha alternato diversi momenti. Laddove gli spazi ampi lo consentivano (magari anche in verticale) il trasporto è stato relativamente «agevole», in alcuni passaggi orizzontali è stato necessario lo sforzo di tutti: un tratto di circa 100 metri è stato particolarmente impegnativo perché molto stretto e i soccorritori hanno dovuto appoggiare la barella con sopra Ottavia sulle loro schiene, in una sorta di trenino, facendola poi scivolare delicatamente.
«Quello è stato il passaggio in cui abbiamo dovuto lavorare con grande precisione», ha spiegato lo speleologo usmatese. Con il passare delle ore, man mano che il traguardo si avvicinava lentamente, anche la 31enne si è fatta forza e, grazie anche all’effetto dei medicinali, è scesa dalla barella, riuscendo a percorrere (naturalmente sorretta) alcuni tratti in posizione eretta. Fino alla risalita in superficie, intorno alle 13 di martedì.
«Non eravamo preoccupati, non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che avremmo portato a termine il recupero - ha ricordato - I suoi genitori sono sempre stati sul posto, ma al momento dell’uscita c’era il fratello. C’è stato un applauso liberatorio, poi il silenzio e li abbiamo lasciati soli: quello è stato un momento a dir poco commovente».