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Gentile condannato a dieci anni, secondo il giudice fu prestanome di Messina Denaro

Emessa la sentenza nei confronti dell'ex dipendente del Comune di Limbiate arrestato a marzo

Gentile condannato a dieci anni, secondo il giudice fu prestanome di Messina Denaro
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Gentile condannato a dieci anni, secondo il giudice fu prestanome di Messina Denaro. Emessa la sentenza nei confronti dell'ex dipendente del Comune di Limbiate arrestato a marzo

La sentenza di condanna

Condannato a dieci anni di reclusione per associazione mafiosa l’ex dipendente del Comune di Limbiate, Massimo Gentile. Lo stabilisce la sentenza emessa ieri mattina, venerdì 17 gennaio, dal gup del tribunale di Palermo Marco Gaeta, a conclusione del giudizio abbreviato nei confronti dell’architetto 52enne, residente a Solaro, ritenuto colpevole di aver prestato l’identità al capo di Cosa nostra Matteo Messina Denaro al fine di consentirgli di acquistare un’auto Fiat 500 nel 2014 e una moto Bmw nel 2007.

La Procura aveva chiesto 12 anni

La Procura aveva chiesto 12 anni, invece il suo avvocato, Antonio Ingroia, l’assoluzione.

«Continueremo a sostenere la sua innocenza, faremo ricorso in Appello non appena verranno depositate le motivazioni (entro 90 giorni)» ha annunciato il legale.

L'ultima udienza

Durante l’udienza di venerdì la Procura ha presentato una Pec del 2022 dell’Agenzia delle Entrate, indirizzata a Gentile, nella quale viene contestato il mancato pagamento di 3 bolli, tra questi uno della moto che era in uso al latitante Messina Denaro.

«Questo elemento avrebbe maturato la convinzione che Gentile fosse a conoscenza dell’esistenza di quella moto ma lui la Pec non l’ha mai vista - ha spiegato Ingroia - Secondo noi questo non prova nulla e continueremo a portare avanti la tesi del furto di identità».

Le accuse e la difesa

Gentile era stato arrestato il 27 marzo dell’anno scorso appunto con l’accusa di aver prestato l’identità al boss mafioso Messina Denaro per dieci anni (dal 2007 al 2017). La difesa ha sempre sostenuto che i documenti sarebbero stati sottratti a Gentile, quindi a sua insaputa, nel periodo in cui l’architetto aveva lavorato per Andrea Bonafede (anche lui accusato di essere un prestanome al boss) durante alcune campagne olearie. Lo stesso Bonafede aveva confermato che l’architetto aveva lavorato per lui ma solo nel 2017 ed ha negato il furto di identità.

La perizia grafologica

Non ha convinto il giudice la perizia grafologica commissionata dalla difesa secondo la quale non appartengono a Gentile le firme sulle pratiche dei veicoli acquistati e utilizzati dal latitante, comprese quelle relative alla rottamazione della moto che secondo l’accusa sarebbe stata effettuata proprio dall’architetto per conto del boss nel 2015.

Ancora aperto il ricorso per la scarcerazione

Resta ancora aperto il ricorso in Cassazione per la revoca della misura cautelare in carcere in favore dei domiciliari ma deve ancora essere fissata la data dell’udienza.

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