I baby killer di San Rocco rischiano di tornare liberi
Possibile la scarcerazione per i due minorenni che accoltellarono Cristian Sebastiano
Possibile scarcerazione per i due baby killer di San Rocco, Monza. Il bivio per i due condannati per l’omicidio di Cristian Sebastiano nel novembre 2020 (avevano 14 e 15 anni all’epoca del fatto) lo segna la Corte di Cassazione.
I due possibili scenari
I giudici romani hanno fissato per il 3 marzo prossimo la data del processo. Il giorno 9 marzo scadono i termini di custodia per i due minorenni. Due le possibilità. Se la Suprema corte accoglie il ricorso dei difensori (avvocati Maurizio Bono e Renata D’Amico), allora i due sono destinati a tornare in libertà.
Nel caso, invece, il ricorso venga dichiarato inammissibile, allora per loro continuerà la permanenza in carcere.
I baby killer condannati due volte
Nei loro confronti la corte di Appello aveva confermato la condanna a 15 anni pronunciata in primo grado, in relazione all’assassinio del 42enne Cristian Sebastiano, attirato a un appuntamento per una cessione di droga, e ucciso con una trentina di coltellate sotto i portici delle case popolari di via Fiume la mattina di domenica 29 novembre 2020.
"Fu omicidio premeditato"
Per il tribunale si trattò di un omicidio premeditato. In primo grado, al termine del processo con il rito abbreviato, il gup aveva condannato a 15 anni e a 14 anni e 4 mesi di reclusione col rito abbreviato due ragazzi che vivevano nello stesso quartiere. I giudici non avevano ritenuto sussistente l’aggravante della crudeltà e avevano concesso le attenuanti generiche ai due giovani, arrestati nelle ore successive al fatto e, da allora, detenuti in due diverse carceri per minori. Nei loro confronti l'accusa aveva chiesto 17 anni e 4 mesi e 15 anni.
Il ruolo della droga
Omicidio, rapina e, per il più giovane, anche spaccio di droga le accuse.
Proprio la droga è l’elemento che fa da sfondo a questa vicenda avvenuta in ambienti disagiati nella periferia brianzola.
Il più giovane dei due imputati aveva detto più volte di odiare la vittima, perché lo riteneva responsabile di averlo trascinato nella dipendenza sin dalla tenera età (11 anni).
Dalla rapina all'omicidio
Aveva anche detto di essere uscito di casa col coltello, però, per rapinare Sebastiano (che spacciava palline di coca nel quartiere) dello stupefacente che aveva in tasca (cosa poi avvenuta), ma non con l’intenzione di ammazzarlo.
"Mi hanno detto che ho dato 30 colpi, ma io ne ricordo solo 3 o 4. Ho iniziato non so come a dagli una pugnalata all’altezza del fegato (…) Avevo in mente di rapinarlo, ma avevo già voglia di ucciderlo e quando l’ho visto...", racconta R. in merito al giorno dell’omicidio contro l’uomo che diceva di "odiare".
"Ce l'avevo con lui"
Gli atti di questa vicenda giudiziaria offrono uno spaccato di una vita disagiata nel rione della periferia monzese.
"Ce l’avevo con lui perché mi aveva riportato alla cocaina che già conoscevo. Spacciava anche eroina e S. la usava, non volevo che lo facesse perché la coca trasforma le persone, ma meno dell’eroina. Ho tanti amici andati in overdose. Quando ero piccolo gli eroinomani li vedevo stesi in un sottopassaggio".
"Mai parole di pentimento"
I due, negli anni, hanno fatto uso "indiscriminato e costante di cocaina tratta sotto forma di crack". Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, i giudici avevano messo in evidenza come non avessero "mai speso una parola di rammarico per la vittima, e per i suoi familiari".
Le difese hanno chiesto e ottenuto che i due venissero sottoposti a perizia, per verificare l’effetto della dipendenza iniziata precocemente sulle loro facoltà mentali. I giudici di Appello avevano confermato le pene, ma per i legali dei due ragazzi avevano disatteso le conclusioni della perizia stessa.
La Cassazione
Su questa circostanza hanno fondato il loro ricorso in Cassazione. La cui decisione è attesa ai primi di marzo. Secondo quanto emerso, le speranze di un recupero dei giovani imputati arrivano proprio dalla detenzione in corso. S. disegna, scrive testi rap, partecipa al teatro e sogna di fare il tatuatore.
R. partecipa con risultati brillanti ai laboratori proposti dagli educatori, e frequenta con profitto la scuola alberghiera. Vuole fare il cuoco: "Il carcere non è un problema. Fuori è il problema, a Monza mi vogliono morto". S. invece, afferma: "Voglio riscattarmi. Si può usare questa parola?".