Il racconto

Il dramma in Ucraina e il racconto di Marina: «Vivo sempre nel terrore. Non penso più a niente, se non di rimanere viva»

L’intervista a Marina Roldukhina, per anni ospite dell’ex sindaco Mariani, che vive nel nord Ucraina.

Il dramma in Ucraina e il racconto di Marina: «Vivo sempre nel terrore. Non penso più a niente, se non di rimanere viva»
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«Quando vedo i carri armati, non so se posso parlare di futuro. Non penso più a niente, soltanto di rimanere viva fino a domani».

Il dramma in Ucraina e il racconto di Marina

Sono le drammatiche parole di Marina Roldukhina, studentessa universitaria che vive in Ucraina, in un villaggio della regione settentrionale di Chernigov, non molto distante dal confine con Russia e Bielorussia.

Marina è un volto conosciuto nella nostra città, nella quale è stata ospite dal 2010 per una decina d’anni nei mesi estivi e invernali, durante i soggiorni terapeutici dell’associazione Un gesto per loro. E’ stata ospite dell’ex sindaco Giacinto Mariani e della compagna Antonella, che tutti i giorni la chiamano al telefono (quando la linea lo consente) per sincerarsi delle sue condizioni e darle conforto in questi giorni terribili.

«Nessuno si aspettava la guerra, perché tante persone ucraine hanno parenti in Russia e in Bielorussia e adesso ci sono i loro carri armati nel nostro Paese», ci racconta al telefono Marina. Vive insieme al fratello 18enne, mentre la madre e la sorellina sono in città, a Chernigov – Una guerra inaspettata. Mi sono svegliata alla 6 e mi ha chiamato la mamma: “Hanno cominciato a sparare”. Ho sentito tramite il telefono, poi ho guardato la tv e Putin diceva che alle 5 era cominciata la guerra. Ma ai russi non dicono la verità: quando telefoniamo ai nostri parenti russi e gli diciamo “Da noi è cominciata la guerra”, loro ci rispondono: “Ma cosa state dicendo, che guerra?”».

Sono ore e giorni drammatici

«La gente soffre e sta finendo il cibo, si mangia quello che c’è, abbiamo solo le patate. In città, dove tutto è cominciato, al posto delle macchine ci sono i carri armati: prima abbiamo visto quelli ucraini , poi quelli russi. Ci sono gli elicotteri e gli aerei che girano, le bombe e i razzi che solcano il cielo. Qui nel paesino vediamo i carri armati, ma non si può uscire perché se esci ti ammazzano. Sparano ogni ora: quando sparano abbastanza lontano possiamo rimanere in casa, se sparano da vicino dobbiamo raggiungere una camera sotto terra, che è il deposito delle patate, dove siamo più protetti. Adesso i russi entrano nelle case e nei negozi per rubare il cibo. Mia sorella mi ha detto che nel paesino dove risiede, con trecento abitanti, sono entrati nella casa dei suoi vicini».
Il popolo ucraino difende strenuamente e con coraggio la propria nazione e «tutti gli uomini sono stati richiamati alle armi. Ma tanti anche senza essere stati chiamati, sono andati a proteggere i figli. Mio fratello adesso è a casa, ma c’è il rischio che possa essere richiamato».

Lo sguardo dalla finestra scruta un vasta pianura dove si seminano morte e terrore. «A Chernigov hanno distrutto tutto, scuole e ospedale. Sparano nell’università e nelle case. Tanti sono rimasti senza neppure un tetto, la gente dorme in metropolitana senza cibo. Molti non hanno la luce e la linea telefonica». Nel fine settimana è successo anche a Marina e al fratello, «mentre i bombardamenti continuano» ha scritto in un messaggio.
Un incubo, vissuto in diretta, minuto per minuto: «In casa non riesco a fare altro che leggere le notizie e cercare di chiamare la mamma e i parenti, sperando che siano rimasti, loro sono senza luce e comunicazioni. Vivo sempre con il terrore, sento sempre il rumore. Mi sembra che sparino sempre, ma sparano nella mia testa. Cerchi di addormentarmi, ma ti svegli perché sparano».

13E’ difficile immaginare un domani di pace, ma «speriamo che finisca la guerra, perché la gente muore. A noi non dicono quante persone muoiono, parlano di circa novemila russi».
In questi momenti terribili resta il piccolo conforto della solidarietà internazionale e il grande coraggio del popolo ucraino contro l’invasore russo per difendere la vita e la nazione, verso un futuro diverso: «Non abbiamo altro che credere che vinceremo».

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