Imprenditore senza pregiudizio assume rifugiato

Un contratto di stage, la formazione e la voglia di insegnare a Kenneth il lavoro di saldatore. A Brugherio una storia di speranza

Imprenditore senza pregiudizio assume rifugiato
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L'intervista completa su Il giornale di Monza in edicola questa settimana

Sono le mani, talvolta, che raccontano la storia di un uomo. È difficile non sentirne la durezza, con una semplice stretta di mano. I palmi sono logorati dal lavoro duro ma non solo. E’ anche il continuo "aggrapparsi alla vita" che segna solchi profondi e che mai se ne andranno. È il caso di Ibe Kenneth Chinedu, un 32enne rifugiato politico di origine nigeriana che da 6 mesi sta imparando il lavoro di saldatore, nella ditta F.lli Loda di Brugherio.

La vita in Africa

Era il 1985 quando l’uomo venne alla luce nell’ Imo State, in Nigeria. Il terzo di otto fratelli. "Avevo 17 anni quando ho lasciato la mia famiglia per trasferirmi a Kano, nel nord – ha raccontato – la mia vita era in pericolo. Ho avuto un problema personale che preferirei non dire ma è il motivo per il quale mio padre è stato ammazzato. Non avevo intenzione di venire in Europa – ha proseguito – ho vissuto a Kano per quasi 9 anni dove avevo un piccolo negozio, stavo costruendo la mia vita".

Ma un giorno del 2009 è stato fatale. "In Nigeria, il gruppo jihadista di "Boko Haram" uccide senza pietà – ha spiegato – era domenica durante la messa, sono entrati ed hanno dato fuoco al mio negozio che si trovava vicino alla chiesa". Letteralmente tradotto «l’educazione occidentale è proibita», il gruppo terroristico nato nel 2002, fa leva sulla povertà per arruolare adepti ed è contro l’emancipazione vista come ostacolo allo stato islamico. "Sono scappato il giorno stesso – ha proseguito Kenneth – sono salito su un camion di mucche nascondendomi, non sapevo devo fossi diretto, non sapevo chi fosse il conducente, ho “ritrovato me stesso” in Niger". Da lì l’inizio di una nuova vita, il lavoro c’era ma si guadagnava poco. "Dopo due anni dove lavoravo 12 ore al giorno ho deciso di andare in Libia – ha raccontato – sono salito su un pick-up, eravamo in 33 sul cassone, seduti su un bastone infilato tra le gambe per non cadere". Il duro viaggio nel deserto con il rischio di morire di sete. L’arrivo a Saba prima e a Tripoli poi. "In Libia c’era lavoro ma la vita era impossibile – ha spiegato – vedevo i missili ogni notte sopra la mia testa, sentivo il rumore delle bombe, la mia vita era nuovamente in pericolo".

L’arrivo in Italia

"Ho deciso di partire per evitare la morte. Sapevo del viaggio in mare e del pericolo. Ho speso tutto quello che avevo (circa 550 euro) per ritrovare la mia libertà". Il barcone era stracolmo, il viaggio nella stiva seduti in fila per occupare ogni centimetro di una barca che, ad un certo punto, ha iniziato a imbarcare acqua. "Sono uscito allo scoperto e ho visto solo il mare, ho abbracciato il mio corpo e mi sono accovacciato, avevo paura di morire". Furono degli uomini italiani "vestiti di bianco su una grande nave" che salvarono dal viaggio della morte Kenneth e altre centinaia di persone. "Per la prima volta qualcuno mi aiutava – ha spiegato – mi hanno dato una giacca, pane e burro. Appena arrivato in Sicilia ho chiamato mia mamma dopo 14 anni che non sentivo nessuno". Lacrime, gioia, l’impossibilità di un abbraccio a migliaia di km di distanza ma Kenneth ce l’aveva fatta. Era il 25 marzo 2015.

La vita a Monza

Kenneth durante un momento di festa con dei volontari a Limbiate

Arrivato a Monza, l’uomo, ha regolarizzato la domanda di protezione internazionale. Ospitato nel progetto gestito da RTI Bonvena, è stato prima a Spallanzani, poi a Limbiate, poi in via delle Taccona e ora a Macherio, in un progetto Sprar perché a Kenneth è stato riconosciuto lo status di protezione sussidiaria. "MI hanno dato tutto in questi due anni e mezzo – sono una persona fortunata. Penso che se una persona ci crede si possa fare tutto. Ho conosciuto molti italiani, ho visto le loro case, vorrei una vita così". Anche Mario Loda, il titolare dell’azienda, racconta di un’esperienza di successo. "Da 5 mesi Kenneth lavora con noi – ha spiegato – si impegna molto, ha voglia di fare e si vede. Se le persone come lui sono seguite hanno tutte le possibilità di farcela. La prima regola? Comunicare esclusivamente in italiano".

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