Litiga col vicino di casa: si vendica manomettendogli i freni della «Ducati »
Il lissonese ha rischiato l'accusa di tentato omicidio
Litiga col vicino di casa: si vendica manomettendogli i freni della «Ducati»
Autore del gesto, un lissonese che ha rischiato di salire sul banco degli imputati con un’accusa gravissima, ovvero quella di tentato omicidio. Accusa che il legale difensore Francesco Mongiu è però riuscito a smontare adducendo come motivazione il fatto che la manomissione fosse avvenuta in un luogo chiuso e circoscritto. Fattore che, così come accordato anche dal giudice, esclude del tutto che potesse verificarsi un incidente mortale.
I fatti a settembre 2017
L’episodio risale allo scorso anno. Era il 26 settembre del 2017 quando l’uomo, a seguito dell’ennesima lite col vicino di casa, ha deciso di vendicarsi. A bordo della sua «Audi A 3» ha raggiunto il luogo di lavoro del rivale - la filiale monzese di un noto gruppo che si occupa di analisi mediche - ed è riuscito a raggiungere il parcheggio riservato ai dipendenti. Una volta intercettata la moto, una «Ducati Monster», ha manomesso il freno anteriore utilizzando un attrezzo estratto dalla tasca della giacca. Una volta tagliato il tubo, si è allontanato.
Ma la sua identità non è rimasta nascosta a lungo. Le telecamere di sorveglianza installate nel parcheggio hanno ripreso tutto, tanto che la vittima del danneggiamento - che una volta avviato il motore della moto si era immediatamente reso conto che qualcosa non andava - si era presentata dai Carabinieri la sera stessa, con una chiavetta contenente l’intera registrazione.
Le accuse
Inizialmente il reato ipotizzato era stato quello di danneggiamento, reato che, tuttavia, è stato depenalizzato. Di conseguenza la prima mossa dell’avvocato Mongiu era stata quella di presentare istanza di archiviazione. Istanza alla quale ha risposto il legale della vittima che aveva rilanciato, avanzando l’ipotesi di reato di tentato omicidio.
Una tesi che l’avvocato Mongiu è riuscito a smantellare pezzo dopo pezzo. Questo perché, chiesta la perizia di un tecnico, è riuscito a dimostrare come il luogo in cui era avvenuta la manomissione - un parcheggio chiuso, privo di lunghi rettilinei - escluda la possibilità che la moto potesse prendere una velocità tale da provocare un incidente mortale. L’ipotesi più probabile è che l’uomo vada a processo con l’accusa di tentate lesioni.