Processi senza fine: un'indagine ne spiega le motivazioni

Nella sola Monza sono stati monitorati duecento procedimenti

Processi senza fine: un'indagine ne spiega le motivazioni
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Processi senza fine: un'indagine ne spiega le motivazioni

Oltre duecento procedimenti monitorati nella sola Monza. E una risposta univoca. A rallentare l’iter giudiziario è soprattutto l’assenza dei testimoni citati dal pubblico ministero.

E’ quanto emerso da un’indagine condotta da Eurispes in collaborazione con l’Unione delle Camere Penali che ha mostrato come le ragioni del malfunzionamento del sistema giudiziario e le cause della durata irragionevole dei processi in Italia siano riconducibili a una molteplicità di fattori.

Uno studio che è stato messo a punto in concomitanza all’imminente entrata in vigore della norma che, di fatto, abroga la prescrizione del reato dopo la sentenza del giudice di primo grado. Un principio, questo, che i penalisti monzesi non esitano a definire «aberrante» che «determinerebbe un disastroso allungamento dei tempi dei processi perché verrebbe a mancare la sola ragione che oggi ne sollecita la celebrazione».

Il report di Eurispes ha preso in considerazione 13.755 processi celebrati in 32 tribunali, tra i quali quello di Monza, presso il quale sono stati monitorati 201 processi. Ed emerge come la prima causa dei rinvii (e dunque del generale protrarsi del processo) sia causata dall’assenza dei testi citati dal pubblico ministero (15,9 per cento). Al secondo posto c’è la prosecuzione dell’iter istruttorio (11,6 per cento), seguita la discussione (9,4 per cento), dall’udienza dedicata alla sola ammissione delle prove (8,7 per cento), dall’omessa citazione dei testi del Pubblico Ministero (5,1 per cento), dalle repliche (4,3 per cento), dalla richiesta del termine a difesa (3,6 per cento). Seguono il legittimo impedimento del difensore (2,9 per cento), la riunione ad altro procedimento (1,4 per cento), il tentativo di conciliazione (1,4 per cento), il legittimo impedimento dell’imputato (1,4 per cento), l’omessa o irregolare notifica all’imputato (0,7 per cento) e alla persona offesa (0,7 per cento), problemi logistici, come assenza trascrittori, orario sindacale del personale (0,7 per cento) ed eccessivo carico del ruolo (0,7 per cento).

«Il cittadino resterà dunque in balia della giustizia penale per un tempo indefinito, cioè fino a quando lo Stato non sarà in grado di celebrare definitivamente il processo che lo riguarda - hanno sottolineato - E’ certamente necessario un intervento legislativo efficace che riduca drasticamente i tempi di durata dei processi penali, ma ciò dovrà avvenire ovviamente senza alcun pregiudizio per le garanzie costituzionali che assistono l’imputato nel processo. E’ significativo che i casi di rinvio per impedimento del difensore e dell’imputato siano di gran lunga inferiori rispetto all’assenza dei testimoni (perché non presenti o non citati) del pubblico ministero, spesso appartenenti alla Polizia Giudiziaria».

I risultati di Monza, in linea con la media nazionale, evidenziano dunque le «reali cause della eccessiva durata dei procedimenti penali da individuarsi nel mal funzionamento del sistema giudiziario e non, come sovente si sostiene nell’opinione pubblica, da prassi dilatorie attribuibili ai difensori». Il dato nazionale evidenzia altresì che la prescrizione è motivo di estinzione del reato nel 2 per cento del totale dei processi monitorati. L’abolizione di fatto della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (sia in caso di assoluzione, sia in caso di condanna) così come previsto dalla riforma, rappresenta una errata soluzione ad un falso problema che incide in modo marginale sulla durata dei processi ed, anzi, è l’unico istituto a presidio del principio di rango costituzionale che impone la durata ragionevole del processo.

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