Monza

Tentati abusi in carcere su 18enne. C’è il ricorso alla Corte Europea

Il giovane si trova al Sanquirico perché rifiutato dalle comunità pur avendo problemi di dipendenza.

Tentati abusi in carcere su 18enne. C’è il ricorso alla Corte Europea
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Non è la prima volta che l’Italia è chiamata a giustificarsi dall’Europa per le condizioni delle sue carceri e stavolta il casus belli è avvenuto alla casa circondariale di Monza.

Qui attualmente si trova un italiano appena 18enne, prima detenuto a Lecco e poi trasferito al Sanquirico, con un deficit mentale certificato dall’età di 12 anni aggravato da un basso quoziente intellettivo e dallo stato di tossicodipendenza.

Una incompatibilità, quella del giovane, con lo stato di detenzione in un carcere, come ha dichiarato più volte il suo legale, Barbara Manara, e come hanno confermato i giudici davanti ai quali è stato tradotto nel corso delle indagini preliminari. La situazione critica aveva del resto spinto l’avvocato già lo scorso anno a chiederne gli arresti domiciliari in un luogo di cura idoneo non solo al suo stato mentale, ma anche al trattamento della dipendenza dalla cannabis.

Richiesta, questa, più volte inoltrata anche dal Ser.D. (il servizio pubblico per le dipendenze patologiche del Sistema Sanitario Nazionale, presente nel carcere di via Sanquirico) a diverse comunità terapeutiche del territorio, ricevendo ben oltre quindici rifiuti per i più disparati motivi. Perché il giovane non sarebbe abbastanza maturo, o perché al contrario è anagraficamente troppo giovane, o perché ancora deve scontare una lunga lista d’attesa. Insomma, tutte ragioni che non hanno consentito ai gip di oltrepassare il diniego posto dalle comunità, enti finanziariamente autonomi dalle aziende sanitarie territoriali, decretando il rigetto delle molteplici istanze avanzate dal legale del giovane.

Tentati abusi in carcere su 18enne. C’è il ricorso alla Corte Europea

Il 18enne attualmente si trova complessivamente in carcere da sei mesi, e a Monza è comunque seguito dal Ser.D, come riferisce il responsabile Attilio Cocchini, oltre che dagli educatori e dai volontari della sezione B, che lo definiscono come «un ragazzo che sta mostrando segni di insofferenza all’interno del carcere, e che pur non rispondendo adeguatamente alle richieste delle comunità non appare incapace». A fronte dei soprusi fisici e mentali che il giovane sta subendo da mesi dai compagni di cella, che ne sfruttano la debolezza mentale nonostante gli interventi del personale di polizia, l’avvocato Manara negli ultimi mesi del 2021 ha deciso di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, per porre fine a una situazione di «trattamenti inumani e degradanti» subita dal suo cliente. È proprio la Corte che, il 17 febbraio scorso, ha comunicato il ricorso al Governo italiano ai sensi del regolamento interno, per chiedere di produrre osservazioni in merito alle condizioni di salute del giovane, le cure psichiatriche in carcere, le indagini avviate sulle vessazioni riferite, le protezioni adottate in carcere, e le prospettive a breve di un posto in comunità. L’Italia ha avuto cinque giorni di tempo per dare risposta al legale del detenuto e alla Corte, ma si attendono gli sviluppi del giudizio.

Non sarebbe un caso isolato

Oltretutto questo non sarebbe un caso isolato. Lo scorso 23 dicembre un uomo di 41 anni con seri disturbi psichiatrici si è tolto la vita nel carcere di Monza impiccandosi. L’avvocato aveva spiegato che il carcere non era il luogo adatto per lui ma che nessuno aveva trovato una comunità esterna che lo accogliesse. Ci sono anche precedenti nell’adire la Corte europea dei diritti dell’uomo:  nel caso Tellissi Italia, decisione del 28 maggio 2013, il collegio di Strasburgo era già stato chiamato a pronunciarsi sull’efficacia della tutela della salute di un cittadino tunisino, detenuto nel carcere di Monza, che lamentava l’insufficienza delle cure mediche ricevute in carcere.

Un «mondo parallelo» molto pericoloso e pieno di aggressioni

L’ultimo episodio di cronaca nera avvenuto all’interno del carcere di Monza fa tornare alla mente alcuni precedenti recenti, non proprio pochissimi per la verità, che hanno visto coinvolti detenuti a rischio delle loro incolumità. Per una di queste fattispecie, addirittura, era anche stata presentata un’interrogazione parlamentare da parte dell’onorevole Paolo Grimoldi (Lega) che chiedeva ragguagli alla ministra Marta Cartabia. Il lumbard citava gravi episodi come una rissa (italiani insieme ad albanesi contro nordafricani e magrebini) che ha visto coinvolti numerosi detenuti e una colluttazione tra due soli detenuti, fatti accaduti rispettivamente il 22 e 26 agosto 2021.

I dati

La situazione dentro il San Quirico non è certo tranquillizzante: secondo i dati ufficiali del Ministero al 31 dicembre 2021 risultavano registrati nell’apposito registro 109 atti di aggressione tra detenuti, di cui 104 colluttazioni con cinque ferimenti; dal 1 al 30 gennaio 2022 risultano 12 atti di aggressione tra detenuti. Senza contare i casi (segnalati nelle scorse settimane) di tentativi autolesionistici come il detenuto che è morto inalando il gas del fornelletto (in questo caso le indagini sono in corso). Grave anche l’episodio appena precedente, avvenuto a fine 2021, quando un detenuto africano ha dato fuoco alla sua cella per contestare la terapia farmacologica alla quale era sottoposto. In quell’occasione restarono intossicati due agenti penitenziari accorsi immediatamente sul posto per spegnere le fiamme. Da tempo il sindacato degli agenti di sorveglianza segnala il problema del sovraffollamento e delle situazioni pericolose dentro il carcere monzese. «Le aggressioni sono all’ordine del giorno - ha affermato Giuseppe Bolena, segretario del sindacato di categoria -. Abbiamo più volte chiesto al Ministro di intervenire con misure efficaci in un panorama, quello penitenziario, ormai desolante».

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