Tribunale

Uccise in casa la moglie strangolandola, niente perizia psichiatrica: chiesti 20 anni di pena

Delitto di Brugherio: le conclusioni del pm nel processo a carico di Giuliano Luigi Bonicalzi, 81 anni. E' scoppiato in lacrime in aula: "Mia moglie mi manca dal primo giorno, mi costa continuare a vivere".

Uccise in casa la moglie strangolandola, niente perizia psichiatrica: chiesti 20 anni di pena
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Uccise in casa la moglie strangolandola, niente perizia psichiatrica: chiesti 20 anni di pena. Delitto di Brugherio: le conclusioni del pm nel processo a carico di Giuliano Luigi Bonicalzi, 81 anni. E’ scoppiato in lacrime in aula: “Mia moglie mi manca dal primo giorno, mi costa continuare a vivere”.

Strangolò la moglie: chiesti 20 anni di pena

Venti anni, con il riconoscimento del massimo delle attenuanti. L’imputato (non potendo essere processato con rito abbreviato in base a una recente riforma giudiziaria) rischiava l’ergastolo. E’ la richiesta di pena avanzata dal pm Michele Trianni nei confronti dell’81enne Giuliano Luigi Bonicalzi, che nella serata del 3 agosto uccise la moglie Rosalba Teresa Rocca, 86 anni, all’interno della loro villetta di via Caduti del Lavoro, strangolandola. La richiesta del pubblico ministero è arrivata al termine di una lunga udienza durante la quale oggi, lunedì 1 marzo 2021, davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Monza presieduta dal giudice Alessandro Rossato, hanno testimoniato una nipote della coppia (che venne chiamata al telefono dal nonno la mattina successiva il delitto, parlando inizialmente di un incidente domestico), la colf ucraina e il perito di parte della difesa, un medico geriatra. Per le tre figlie dell’imputato, che si sono costituite parti civili del procedimento, sono invece stati depositati i verbali delle testimonianze rilasciate subito dopo il delitto, nel quale tratteggiano un duro ritratto del padre.

Niente perizia psichiatrica

Il legale di Bonicalzi aveva chiesto che la Corte desse l’ok all’esecuzione di una perizia psichiatrica, per seguire la via della semi o totale infermità di mente: nella sua relazione, infatti, il dottore ha parlato di una alterazione dei centri dell’autocontrollo di Bonicalzi, per il suo stato di stress stratificatosi negli anni (per le condizioni di salute della moglie, affetta di Alzheimer, e di una delle sue figlie) e la depressione, che – uniti alle conseguenze di un’ischemia – sarebbero diventati una sorta di “cocktail”, degenerando nell’azione di attacco di agosto, senza rendersi conto del danno che ha arrecato. Poi, nell’81enne, sarebbe subentrata la razionalità, con il tentativo di prestare le cure alla moglie ormai semi incosciente. La Corte, però, con la stessa contrarietà dell’accusa, ha detto no alla perizia richiesta dal legale Ivano Domenico Serlenga.

La moglie malata non voleva prendere le medicine: poi il delitto

A parlare in Aula è stato anche Bonicalzi, ex artigiano nel campo dei tendaggi per la grande distribuzione. La sera dell’omicidio la moglie (spesso in sedia a rotelle per problemi deambulatori) non voleva mangiare e prendere le medicine. In cucina ha ammesso di averle dato sette, otto schiaffi, che gli fecero uscire sangue dal naso. Portata in bagno per pulirla, Rocca si era rifiutata. A quel punto, dopo altre sberle, l’ha afferrata per il collo per sei secondi. Respirava a fatica quando la portò sul letto: le fece degli impacchi d’acqua fredda per cercare di farla riprendere. Solo la mattina successiva, sul presto, decise di allertare la nipote, che a sua volta chiamò il 118. La donna morì due giorni dopo all’ospedale di Vimercate. Confessò l’omicidio davanti ai Carabinieri che poi lo arrestarono: ma a parlare furono anche le intercettazioni ambientali all’interno della caserma dei militari di via Dante, prima che venisse interrogato.

“Non picchiavo mia moglie”

“Non picchiavo mia moglie: litigavamo, ma mai con parolacce, anche perché ho fatto dieci anni di seminario – ha spiegato Bonicalzi tra le lacrime, negando quando sostenuto dalle figlie, che invece hanno parlato di percosse che nel 2020 si sarebbero fatte più frequenti e di un genitore che creava in casa un clima di terrore e di violenza psicologica – Ho fatto il padre, non il padre padrone. Solo una volta alcuni mesi prima presi con forza il braccio di mia moglie, lasciandole un ematoma: aveva afferrato un coltello e se lo era puntato alla gola. Mia moglie mi manca sin dal primo giorno (dopo l’omicidio, ndr): mi costa tanto continuare a vivere e sapere di averla fatta soffrire e questa cosa mi tormenta. A Dio ho detto che sarebbe stato meglio farmi castigare qui”.

Sullo sfondo una situazione familiare non facile

Sullo sfondo c’è una situazione familiare complicata. L’unico parente con il quale Bonicalzi aveva e ha tutt’ora rapporti buoni è la nipote che chiamò la mattina del 4 agosto. “E’ la mia quarta figlia, devo pensare a lei – ha proseguito – Ora rischio di essere un problema anche per lei: le ho ucciso la sua mami. Ho fatto soffrire entrambe”.

Il no a un’assistenza h24 per la moglie

Fu Bonicalzi a dire “no” a un’assistenza continuativa h24 per la moglie. La colf infatti si reca nella villetta solo per tre mezze giornate a settimana. Con frequenza l’imputato faceva visita alla figlia minore, anche lei malata. “Mia moglie non voleva sentir parlare di casa di riposo – ha spiegato – Pensavo di farcela da solo, ho sbagliato: ho peccato di orgoglio e presunzione”.

Un altro motivo per il quale si sarebbe opposto a un’assistenza più importante è stato di ordine economico. Tuttavia, ha fatto osservare l’avvocato di parte civile Andrea Marcon, le condizioni finanziarie di Bonicalzi non sono di certo difficili: percepisce una pensione da 1.800 euro, oltre a 516 euro di accompagnamento per la moglie. Inoltre la vendita del capannone nel 2018 dove era attiva la sua azienda gli aveva fruttato 275mila euro. “Oltre il 40% però è andato via in fisco – ha specificato l’imputato – La restante parte l’avevo tenuta da parte qualora la situazione di salute fosse peggiorata”.
La prossima udienza è in programma il 22 marzo, per l’arringa difensiva.

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