Un lesmese nell'inferno dell'Australia

La testimonianza di Daniele Pirotta, 32 anni, residente a Sydney

Un lesmese nell'inferno dell'Australia
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Un lesmese nell'inferno dell'Australia.

Il cataclisma che da mesi si sta scatenando dall’altra parte del mondo non può certo lasciarci indifferenti. Dalla scorsa estate, infatti, l’Australia sta combattendo contro una serie di vastissimi incendi che ne hanno devastato l’intero ecosistema. Forse in maniera irreparabile se pensiamo che in oltre sei mesi sono arsi oltre 16 miliardi di ettari di terreni, causando la morte di circa 30 persone e, si stima, almeno un miliardo di animali. Senza contare le migliaia di famiglie che oggi si ritrovano senza più una casa e senza più certezze. Tutte distrutte dalla furia cieca del fuoco.
Tra coloro che questa situazione la stanno vivendo in prima persona c’è anche Daniele Pirotta, 32 anni, nato e cresciuto tra Lesmo e Biassono e da dieci anni residente in Australia. Nei giorni scorsi lo abbiamo contattato ed è stato lui a raccontarci non solo cosa sta succedendo, ma anche come la vita della popolazione sia cambiata nel giro di alcuni mesi.

"In città siamo al sicuro, ma non vediamo il Sole da mesi"

«Tutto è iniziato in estate, a giugno, ma il vero disastro è poi scoppiato intorno a settembre per colpa del vento e della mancanza di pioggia - ha raccontato il giovane, manager di “Campari Group” - In generale è una situazione a dir poco spaventosa, che come estensione probabilmente supera ciò che è accaduto anche in Amazzonia nel recente passato. Io vivo a Bondi Beach, a Sydney, e qui fortunatamente non l’abbiamo vissuta in maniera particolarmente drammatica. Quello che ha colpito più le zone urbane è il fumo, più pesante della nebbia, che di fatto da mesi sta oscurando il sole. Dal mio ufficio solitamente vedevo il cielo cristallino e l’oceano: da tempo, invece, solo una densa coltre grigia, che di fatto ha avvolto l’intera città. Per lavoro viaggio molto e quando qualche settimana fa mi sono recato a Perth, che si trova sulla costa opposta dell’isola, e quando ho visto il cielo azzurro mi sono quasi spaventato perché ormai non ero più abituato. Nei giorni più pesanti siamo stati costretti a indossare le mascherine perché davvero non si riusciva più a respirare. Gli studi hanno sottolineato come in quei giorni la qualità dell’aria era talmente pessima che era come se ognuno di noi stesse fumando oltre 40 sigarette al giorno. E’ abbastanza impressionante svegliarsi e trovare patine di cenere a ricoprire ogni cosa, ma fortunatamente qui nei centri urbani il fuoco non è arrivato e grossi danni non ne abbiamo avuti».

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