Linfedema, come vivere con questa malattia cronica
Intervista al chirurgo vascolare Sabrina Brambilla e al fisiatra Pierpaolo Corbetta dello ZucchiLinfedema Center: agli Istituti Clinici Zucchi di Monza questo disturbo del sistema linfatico viene affrontato in modo multidisciplinare
Il linfedema è una patologia invalidante molto frequente, di cui però la gente sa molto poco. Nel mondo si contano 300 milioni di casi, di cui 350mila in Italia. Si manifesta con braccia e gambe molto gonfie e per essere curato sono necessari trattamenti specifici. A Monza è attivo da alcuni mesi lo ZucchiLinfedema Center, un centro multidisciplinare presente sia in convenzione con il Servizio Sanitario che in regime di solvenza ed è uno dei pochi centri specializzati nel trattamento di questa particolare malattia. Lo guidano la dottoressa Sabrina Brambilla, responsabile dell’Unità Funzionale di Chirurgia Vascolare, e il dottor Pierpaolo Corbetta, responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione Specialistica, a cui abbiamo chiesto di spiegarci meglio questa problematica.
Linfedema, come vivere con questa malattia cronica
Cos’è il linfedema e quali sono le cause principali?
Brambilla: "Il linfedema è un accumulo anomalo di linfa nei tessuti – liquidi, proteine, elettroliti e cellule – ed è dovuto ad un malfunzionamento del sistema linfatico che ha il compito di drenare e riassorbire i liquidi. Esistono due tipologie di linfedema: la forma primaria, dovuta ad un sistema linfatico congenitamente malfunzionante, che riguarda circa il 40% di tutti i casi e che può essere diagnosticato anche dopo 4 o 5 anni dai primi sintomi. Questo tipo di linfedema (primario) colpisce prevalentemente gli arti inferiori e presenta un esordio precoce, prima dei 20 anni, o un esordio tardivo, anche dopo i 50 anni. Invece, più frequenti e invalidanti sono i linfedemi secondari che riguardano il 60% dei casi, e si sviluppano soprattutto in seguito ad interventi chirurgici, come ad esempio quelli per neoplasie della mammella, della prostata, delle ovaie e dell’utero. Accade, infatti, che durante questi interventi, oggi molto frequenti, a volte è necessario asportare linfonodi e vasi linfatici, bloccando così il flusso della linfa. Le pazienti operate di neoplasia mammaria, nel 20-35% dei casi, possono sviluppare un linfedema nell’arto superiore, detto linfedema secondario. A seguito dell’operazione il linfedema non si sviluppa subito, può comparire anche dopo due anni o addirittura più in là nel tempo. Sottoporsi ai controlli è importante per tenere monitorate queste eventualità e non sottovalutarle. Questo perché il sistema linfatico ha una grande capacità di compensazione, ma ad un certo punto i liquidi da drenare nei tessuti superano la capacità del sistema stesso".
Quali sono i sintomi, cosa accade al paziente affetto da linfedema?
Brambilla: "In chi soffre di linfedema si ha, progressivamente, un accumulo enorme di liquidi prevalentemente in un arto, superiore o inferiore. Questo accumulo di linfa, oltre a creare una deformità dell’arto, anche irreversibile, porta altresì estrema pesantezza, dolore, infiammazioni o infezioni dell’arto colpito. Senza trascurare le difficoltà causate dagli arti ingrossati: diventa difficile muoversi, o indossare una giacca o un pantalone".
Corbetta: "L’intervento chirurgico può causare anche un danno dovuto alla cicatrice per l’asportazione dei linfonodi, con conseguenti aderenze e fibrosi che possono danneggiare i vasi e i nervi. Quindi la funzionalità complessiva ne risente moltissimo. Il trattamento multidisciplinare proposto ha lo scopo non solo di ridurre la stasi linfatica ma anche di migliorare la funzionalità dell’arto".
Come si diagnostica questa patologia?
Brambilla: "La diagnosi è inizialmente clinica, più immediata nei casi secondari, in cui i pazienti sono già seguiti per altre patologie. L’esame di base effettuato è l’ecocolordoppler. Successivamente, per approfondire lo studio del sistema linfatico del paziente, possono essere richiesti ulteriori accertamenti specifici, tra cui la linfoscintigrafia, utile per confermare la diagnosi di linfedema".
Quindi, come si affronta questa patologia?
Brambilla: "La terapia ad oggi è sostanzialmente di riabilitazione fisioterapica e si chiama terapia decongestionante complessa, perché si attua a più livelli. Consiste in una seduta di massaggi e ginnastica seguita da un bendaggio specifico chiamato elastocompressione. La diagnosi precoce e i trattamenti immediati, riducono gli esiti della malattia: più passa il tempo più il liquido ristagna e fa infiammare i tessuti, facendo indurire la pelle creando cioè una fibrosi dei tessuti, che diventa impossibile trattare".
Corbetta: "Purtroppo il linfedema è una patologia cronica, quindi non si arriverà mai ad una completa guarigione. Seguire questi pazienti per l’intera vita è quindi complesso e il nostro centro nasce anche per affrontare questa criticità. Essendo cronica, questa patologia perdura nel tempo e se non trattata correttamente peggiora, andando a ridurre la qualità di vita del paziente. L’elastocompressione facilita il deflusso della linfa, ed è una tecnica molto particolare che non tutti i fisioterapisti sono in grado di gestire. Noi ci avvaliamo di un esperto in questo ambito – il dottor Giovanni Farina - che sta formando anche altri fisioterapisti della nostra struttura. Proponiamo anche un trattamento fisioterapico, di rieducazione per migliorare la mobilità dell’arto colpito".
E in cosa consiste il vostro percorso terapeutico?
Brambilla: "La nostra mission è quella di un centro interdisciplinare, dedicato a una patologia complessa. Per noi è fondamentale la collaborazione e il confronto prima di tutto tra le nostre figure, quelle maggiormente interessate, il fisiatra dal punto di vista riabilitativo e il chirurgo vascolare per l’individuazione della patologia e l’esclusione di altre diagnosi. Poiché il trattamento è di tipo riabilitativo, ci avvaliamo di fisioterapisti specializzati, e stiamo lavorando per integrare la figura di un nutrizionista e di uno psicologo perché c’è una componente psicologica molto forte ed è importante non aumentare di peso per non aggravare la situazione. Per accedere al nostro centro il paziente deve fare una valutazione preliminare con il fisiatra e con il chirurgo vascolare: se viene diagnosticato il linfedema il paziente viene avviato in regime ambulatoriale al ciclo di trattamento di circa 10 sedute, che durano un’ora e mezza, con massaggio, riabilitazione e bendaggio".
Corbetta: "Consideriamo con attenzione anche l’aspetto clinico generale, valutando tutti i parametri coinvolti. Puntiamo a una valutazione completa e integrata, perché la cura richiede necessariamente un approccio multidisciplinare. Ci interfacciamo anche con altri specialisti, ad esempio gli ortopedici, per gestire pazienti con lifendema che avessero necessità di una operazione ortopedica. Questo migliora anche l’esito dell’intervento".
Come prosegue il trattamento? Cosa deve fare poi il paziente?
Brambilla: "Finito questo primo percorso, in cui il paziente avrà un arto più sgonfio, grazie alla perdita di liquidi nell’arto interessato, nella seconda fase un tecnico ortopedico prenderà le misure per realizzare un tutore speciale e personalizzato per la compressione continua a domicilio, finalizzato a mantenere il lavoro fatto dal fisioterapista nel ridurre le dimensioni dell’arto e non farlo tornare alla situazione precedente. Una parte non facile, perché va indossato sempre. Comunque andranno ripetuti costantemente anche i cicli di trattamento, valutati alla dimissione del primo ciclo in base al caso. E nel tempo sono previste anche delle visite di controllo".
Si può riacquistare uno stile di vita, diciamo, normale?
Corbetta: "Ovviamente dipende dal livello del linfedema. Il nostro obiettivo è quello di permettere al paziente di fare tutto ciò che vuole al meglio: cerchiamo di focalizzare alcuni aspetti del trattamento sugli obiettivi pratici che ha il paziente, dal potersi rimettere certi vestiti al tornare a fare delle passeggiate in montagna. Ci si deve comunque abituare a certe situazioni, ad esempio viene sconsigliato di esporsi a temperature eccessivamente alte o basse e consigliamo una grande cura della pelle e delle unghie in quanto si è più esposti alle infezioni".
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