Intervista

Lo storico preside va in pensione: «Ai nuovi docenti dico di chiedere ai ragazzi “Come state?”»

L’ex vicesindaco Angelo Valtorta: «La scuola è stata il mio mondo, la politica non era nelle mie corde»

Lo storico preside va in pensione: «Ai nuovi docenti dico di chiedere ai ragazzi “Come state?”»

Dopo 43 anni fra aule, cattedre, centinaia e forse migliaia di studenti conosciuti, ma anche una lunga carriera da dirigente scolastico, per Angelo Valtorta, 63 anni, medese, suona l’ultima campanella: lo storico professore di italiano e latino del Marie Curie a Meda e oggi preside al liceo Alessandro Volta di Como chiuderà il capitolo del mondo della scuola.

Lo storico preside va in pensione

«Ogni giorno vengo salutato e osservato dall’austero busto che c’è in biblioteca di Alessandro Volta, che è stato anche il primo preside del liceo che oggi ha il suo nome, e sono arrivato a 43 anni, 8 mesi e 22 giorni – ci ha detto – Quest’anno ho chiesto la pensione e sono estremamente felice della mia carriera. In questi ultimi anni mi è forse mancato un po’ il contatto diretto con gli studenti, ma ho incontrato persone straordinarie che hanno dato molto più di quello che dovevano e che credono nella missione umana della scuola. Ci tengo a ringraziare tutti i docenti, il personale Ata, i dipendenti, ma in generale tutti quelli con cui sono venuto a contatto».

Come è cambiato il ruolo del dirigente scolastico?
«Si è molto burocratizzato e spesso siamo in presidenza a risolvere problemi amministrativi. Ho lavorato molto ma sempre volentieri. La grande fatica è forse il confronto con i genitori, che è normale perché nella dimensione educativa c’è sempre un po’ di apprensione, ma a volte diventano invadenti e vedono solo un pezzo e non il profilo generale».

Quando ha capito che voleva fare questo lavoro?
«Ho frequentato le scuole a Meda, poi il liceo Omero di Milano e Lettere alla Statale. Io dico spesso che è da 60 anni che sono nella scuola, perché subito dopo la laurea ho passato il concorso e già durante l’università avevo fatto delle supplenze. Mi ricordo la mia prima classe: avevo 19 anni ed ero in una terza media a Lentate con ragazzi di 14 anni. Non ho mai avuto problemi e quell’esperienza mi ha fatto capire che era il mio lavoro. Ho sempre trovato un punto d’incontro con tutti, ma non perché ero più bravo degli altri, perché questo lavoro mi piaceva e grazie a Dio questo entusiasmo l’ho tenuto per tutta la mia vita da docente».

Quali sono state le prime cattedre?
«Come tutti i letterati avevo la testa fra le nuvole, per cui non espressi la preferenza per la provincia e immagino che all’ufficio scolastico regionale ci misero un attimo a mandarmi a Bormio. Era il 31 agosto e il giorno successivo dovevo essere lì, per cui partii con la valigia alle cinque del mattino. La preside mi accolse molto bene, penso non ci credeva neanche lei di avere qualcuno che voleva andare in Valtellina, ma furono cinque anni bellissimi. Iniziai con tre quinte e gli esami di Maturità: erano classi di montagna, con pochi studenti e molto contatto. Ho imparato a sciare e ad apprezzare le terme, tanto che mi sentivo in vacanza tutto l’anno. Poi feci domanda per tornare qui e andai prima a Carate Brianza, al Da Vinci, e dal 1998 al 2013 al Liceo Curie di Meda, dove ho fatto anche il vicepreside, poi sono diventato dirigente all’Hensemberger di Monza».

A proposito di Meda, ha fatto anche un importante passaggio in politica.
«Dal 2007 al 2012 fui vicesindaco con delega all’Urbanistica (nella Giunta Taveggia, ndr). Cinque anni faticosissimi, belli ma molto impegnativi, e quando mi chiesero se volevo continuare gentilmente rifiutai. La politica non era molto nelle mie corde».

Come pensa siano cambiati i giovani da quando ha iniziato a insegnare ad oggi?
«Gli studenti non sono cambiati più di tanto: i 17enni sono sempre 17enni. Certo è cambiato il contorno, quello che la società propone loro. Siamo in un’epoca di tecnologia esasperata e la scuola ne sta affrontando le sfide. La scuola rimane sempre un luogo di apprendimento ed educazione, che vede nei ragazzi un soggetto unico, una persona che cresce, e anche dopo 43 anni i ragazzi chiedono sempre le stesse cose. Hanno il desiderio di essere felici, crescere ed esprimersi: essere protagonisti della propria vita».

A proposito di tecnologia, la scuola si trova in un momento complicato: necessita di includere la conoscenza dei nuovi strumenti, tuttavia la penna e il quaderno rimangono forse il metodo di apprendimento migliore.
«Non esiste tecnologia senza umanesimo. Per dare un senso al sapere tecnologico serve un’anima e non si può prescindere dal sapere umanistico. Tutti dovrebbero avere la possibilità di mettere in atto questo connubio, perché la vera formazione non può essere solo in un senso. Oggi i ragazzi sono frastornati dalle proposte e la scuola può essere il luogo per riappropriarsi della propria identità».

Come ha vissuto quest’ultimo anno?
«Quest’anno ho avuto la reggenza del Caio Plinio Secondo, oltre al Volta, per cui avevo quasi 3000 studenti e 300 docenti, più il personale Ata, e non nascondo che sia stato faticoso. Solo il viaggio da Meda a Como tutti i giorni era pesante e a me piace sempre arrivare un’ora prima delle lezioni per lavorare con tranquillità, ma rimane sempre un lavoro bellissimo. Uno dei miei ultimi incarichi è stata la presidenza ai concorsi di lettere per i nuovi professori e devo dire che ne abbiamo bocciati diversi, specialmente per la modalità di approccio. Molti in un’ora non hanno mai guardato in faccia la commissione. Ho visto però anche dei giovanissimi neo professori molto preparati e che entreranno in cattedra fra poco».

In questo senso c’è un consiglio che vuole dare ai giovani insegnanti?
«Se mi posso permettere, vorrei consigliare loro di entrare in classe in punta di piedi, di considerare ogni studente come unico e di spendere qualche minuto prima della lezione per chiedere loro come stanno. E’ una cosa che ho imparato a fare negli anni e mi ha permesso di sciogliere molti nodi di diffidenza e pregiudizio da parte di entrambi. Ho scoperto la bellezza di chiedere loro come va».

Come ha vissuto questi ultimi giorni?
«Sono stato impegnato in tutte le pratiche burocratiche e ho due scuole da “chiudere” e due dirigenti da accompagnare nel nuovo ruolo, oltre ad altre incombenze. Forse quando si chiuderà il portone alle mie spalle realizzerò cosa sta terminando, quando guarderò l’austero busto di Volta nel mio ultimo giorno».