L'intervista

Fabrizio Cesana allenerà il Congo

«Mi hanno chiesto di ringiovanire e di ripartire senza avere fretta»

Fabrizio Cesana allenerà il Congo

«Mi affaccio dal terrazzo dell’hotel, dove siamo in ritiro, e vedo una distesa così grande. E penso: ci sono ragazzini, di 14, 15 e anche 16 anni che si fanno nove chilometri a piedi per venire ad allenarsi. Basta questo per far capire perfettamente com’è vissuto il calcio qui».

Fabrizio Cesana allenerà il Congo

Fabrizio Cesana, brianzolo doc, cresciuto fino all’età di 27 anni a Carate Brianza prima di trasferirsi a Seregno, vive nella Repubblica del Congo dal 2014. Dal nulla ha creato un’accademia giovanile nazionale girando il paese africano in lungo ed in largo alla caccia di talenti che potessero diventare il futuro calcistico del paese. Il futuro è arrivato oggi, o meglio, nei giorni scorsi con la sua nomina a commissario tecnico della nazionale maggiore. Guiderà la Repubblica del Congo nell’imminente girone di qualificazione al Mondiale del 2026 che inizierà con la Tanzania e che vedrà ad ottobre le sfide con Niger e soprattutto Marocco, la principale favorita ad andare in Nord America la prossima estate. L’obiettivo è uno solo ed è in linea con quanto gli è stato chiesto anche dal ministro dello sport: «Ricostruire da zero, ringiovanire e ripartire senza avere fretta». Tutti concetti che in Italia sarebbero pura utopia.

L’intervista

Complimenti Ct, si può dire che la nomina sia stata la logica conseguenza del lavoro che ha svolto negli anni in Congo?
«È sicuramente il coronamento di un percorso iniziato nel 2014; ho allenato l’Under 17, l’Under 20 e seguito il centro di formazione. La nomina non è stata improvvisa. È da un po’ che il ministro Hugues Ngouelondelè mi chiedeva di diventare commissario tecnico. Prima di accettare ho voluto che si formasse un gruppo coeso, locale, che fosse impreziosito dalla presenza dei giocatori che militano nelle squadre europee. Diciamo che ho accettato di immolarmi per la causa…».

Sono giorni frenetici tra convocazioni, allenamenti e il resto. La cosa che le ha fatto più piacere? Quali giocatori dovremo seguire con attenzione?
«Una persona del paese dove vivo mi ha detto che aspettava questo giorno da tempo. E’ stato bello sentirselo dire. Come giocatore direi Digne Pounga che da inizio 2025 è a Bergamo con l’Atalanta Under 23. È un centrocampista moderno entrato a far parte del centro qui a Brazzaville fin da bambino. Al Viareggio nel 2024 lo hanno notato in molti, l’Atalanta è stata la più veloce a prenderlo. Poi direi Deo Bassinga che è un giovane attaccante che milita nel campionato georgiano nel Fc Dila e che recentemente è andato a segno in una gara di qualificazione per la Conference League. Avremo con noi anche due ragazzi che giocano in Svizzera. Christopher Ibayi ha firmato a gennaio con il Thun, anche Morgan Poaty è impegnato nei preliminari di Conference League col suo Losanna. Come giovani bisogna tenere in considerazione due ragazzi: il portiere Bonazebi che ha delle doti interessanti ed è un 2006 con una carriera potenzialmente importante davanti, e il classe 2008 Mavoungou, una punta esterna molto potente che ricorda Lookman. A proposito del nigeriano, peccato che non sia andato a giocare nella mia Inter…».
Ha nominato il torneo di Viareggio, dove l’anno scorso siete arrivati ad un passo dalla vittoria. Non le sembra che i ruoli si siano ribaltati?
«In Nazionale ci sono cinque giocatori che hanno giocato quel torneo. Vivo in un paese che ama totalmente il calcio. Anche il ministro ha una visione importante in tema di sviluppo, senza che ci sia fretta e facendo in modo che si lavori con calma. Siamo ripartiti da zero e dobbiamo ripercorrere le orme di Mali, che era una realtà quasi sparita dai radar e che ora in continente arriva quasi sempre in fondo. Oppure della Mauritania che ha investito tanto nei centri di formazione. Cosa che in Italia non accade. Chi fa selezione viene pagato poco e male, viene privilegiata la quantità alla qualità. In Congo è l’esatto opposto».

Perché in Italia non crescono più i talenti di un tempo?
«Se penso ai numeri 10, giocavano Del Piero e Totti… Oggi non ci sono più fuoriclasse di questo calibro, ma tanti giocatori normali. Ripeto, il problema è a monte: quanto viene investito sui settori giovanili? Basta vedere le storie di corruzioni e conoscenze, invece dovrebbe regnare la meritocrazia. Quando ero un ragazzino, a Carate Brianza, costruivamo una porta di legno e ci divertivamo un mondo a giocare. Alle leve arrivavi pronto, che sapevi palleggiare, calciare e dribblare ed avevi 7 anni. Ora a 12 anni non dico che sei a zero, ma quasi. Capisci però quanti anni siamo indietro rispetto al passato. Quando sono tornato in Brianza un paio di mesi fa, parlavo con amici che mi dicevano degli impegni dei figli tra catechismo e scuola, ma sono problematiche comuni a tutti i paesi. Non capisco perché da noi siano così gravose. Io amo ripetere: chi è causa del suo male, pianga se stesso…»
I suoi giocatori la vedono più come un papà che un selezionatore, è vero?
«È capitato che i più giovani abbiano chiesto consigli sugli studi e su quale percorso scolastico scegliere. A loro ripeto sempre che non deve mai mancare il cuore, che associo anche agli attributi. Puoi avere qualche lacuna a livello tecnico-tattico, ma se ci metti il cuore e anche e soprattutto la “fame”, arrivi ovunque. Com’è stato per il mio amico Moreno Torricelli».
Ha ancora dei sogni nel cassetto da realizzare?
«A 62 anni il cassetto ormai è vuoto… Al Mondiale non ci pensiamo ma vogliamo creare la base per giocare a testa alta le qualificazioni alla prossima coppa d’Africa che inizieranno ad aprile 2026. La mia famiglia è in Brianza anche se mio figlio è qui con me, visto che fa parte dello staff tecnico, ma qui è come se fossi a casa. Ciò che mi fa piacere è che sono benvoluto da tutti e mi fanno sentire a mio agio. Se vinciamo, poi – sorride Fabrizio Cesana – si sta ancora meglio».